Mario Draghi, una volta tanto, non ha meritato titoli in prima pagina: le decisioni della Bce, così come le sue dichiarazioni, non hanno riservato sorprese. Un’ottima notizia, che dimostra come la strategia avviata dai banchieri centrali d’Europa funziona e per questo motivo non deve riservare sorprese. Perciò la Bce altro non deve fare che confermare la guidance enunciata a luglio: i tassi devono restare bassi per un lungo periodo. Ovvero, se necessario, potranno scendere ancora dall’attuale livello dello 0,50%, ma non risalire. Insomma, no news, good news.



Eppure non è mancato nel direttorio della Bce chi ha rilevato l’esistenza di una ripresa più vivace del previsto, almeno in Germania. E dalla Bundesbank si sono levate voci per invertire la rotta. Draghi le ha fatte tacere con grande energia: la ripresa è “verde”, tutt’altro che robusta.

Più insidiosa la voce dei mercati. Ormai si dà per scontato il  cambio di rotta della politica monetaria americana. Già il 19  settembre, se i dati sulla disoccupazione di oggi saranno giudicati soddisfacenti, la Federal Reserve avvierà il tapering, cioè la riduzione degli acquisti di titoli sul mercato. E la reazione dei grandi gestori non si è fatta attendere: i tassi sui Bond americani a dieci anni sono saliti al 3% circa, un incremento robusto, quasi spettacolare. Anche sul Bund tedesco non sono mancate le grandi manovre: ieri il Bund a dieci anni rendeva l’1,97%, il 15% in più di un mese fa. Nel frattempo le valute e le Borse di molti Paesi emergenti stanno franando sotto il peso della valanga di capitali che si stanno spostando verso il dollaro. Riuscirà l’euro ad evitare di esser coinvolto nel grande movimento?



L’Europa può farcela, è il messaggio di herr Draghi. Anzi, l’Europa può avere voce in capitolo nella partita siriana, così come nelle varie situazioni che si possono creare all’interno dei mercati emergenti: “Siamo pronti ad intervenire su questo come su altri rischi” sillaba Draghi, consapevole che la forza dell’Europa è più finanziaria che militare. Ma anche che Eurolandia, finalmente, può contare sulle prospettive di ripresa del mercato interno: l’area euro cresce ancora grazie all’export ma può contare anche su un propulsore  interno, cosa che favorisce una maggior indipendenza.



Insomma, dopo anni passati sulla difensiva, alla sbarra nella comunità internazionale in quanto focolaio della crisi, gli europei possono tornare ad essere non un problema, bensì parte della soluzione dei problemi del mondo. Anche la tanto criticata austerità tedesca viene assolta, con un certo stupore, dai grandi organi di stampa anglosassoni: per la prima volta le democrazie sono riuscite a raddrizzare la bilancia commerciale e quella dei pagamenti senza utilizzare l’arma della svalutazione ma comprimendo i salari e con altri sacrifici.  

Un grande risultato anche se, per quanto riguarda l’Italia, manca uno degli elementi chiave: il recupero di competitività che non può prescindere da quelle riforme di cui Draghi ha parlato più volte. 

Ci sono buoni motivi, dunque, per ribadire la guidance dei tassi bassi, premessa indispensabile per le battaglie d’autunno che attendono il banchiere italiano e l’euro. Innanzitutto, si devono difendere i meccanismi che, con poca (anzi nulla) spesa hanno protetto l’euro nei momenti più drammatici. A partire dagli Omt, cioè gli strumenti di intervento da attivare in caso di richiesta di aiuti da parte di uno Stato membro in difficoltà sui mercati. La sola esistenza dell’Omt, mai utilizzato, è stato sufficiente a convincere la speculazione che la banca centrale avrebbe usato tutta la sua forza per difendere l’integrità dell’euro. Che cosa penseranno i mercati se, tra pochi giorni, la Corte costituzionale di Karlsruhe, messa in moto da vari  ricorsi più o meno esplicitamente sostenuti da una parte della Bundesbank, metterà in discussione l’Omt?  E’ questa la prima, più grave minaccia che incombe sul futuro di herr Draghi, l’italiano che ha saputo far tesoro del pragmatismo di Angela Merkel.

Poi ci sarà la prova dell’unione bancaria. In autunno la Bce condurrà i nuovi test sulla salute delle banche del Vecchio Continente. Sarà un esame assai più severo di quelli che l’hanno preceduto. I primi stress test servivano, infatti, a convincere gli investitori. Oggi, invece, gli esami servono a convincere la stessa Bce prima di assumere la responsabilità della Vigilanza che porta con sé una domanda: chi dovrà decidere se far fallire o meno un istituto? Sarà la Bce, ha sostenuto il membro tedesco del direttorio Joerg Asmussen. E’ stato male interpretato, ha precisato ieri Draghi: siamo tutti d’accordo, la Vigilanza può fotografare lo stato di una banca, poi tocca agli Stati decidere, anche perché tocca a loro rispondere ai contribuenti della destinazione del denaro pubblico.

Equivoco chiarito? Certo, ma non dimentichiamo che il meccanismo di salvataggio delle banche passerà da sacrifici di azionisti, obbligazionisti, contribuenti e, in parte di un fondo comune dell’eurozona. Molti attori che lasciano prevedere la solita Babele di voci che distingue l’eurozona. Ma per ora godiamoci questa Bce finalmente senza sorprese o conflitti; no news, good news. Ma quanto è vero…