Se Napolitano si è sentito in dovere di intervenire, facendo sapere che una crisi sarebbe oltremodo pericolosa, è perché evidentemente il rischio che si apra c’è. Ciò non significa che la caduta del governo per mano di Berlusconi sia probabile, ma che se ne debba tener conto come ipotesi possibile. L’ex premier non ha ancora deciso se intende togliere la fiducia a Letta perché ancora non ha a disposizione elementi che gli forniscano un quadro verosimile del dopo. Letta riuscirebbe a trovare una maggioranza alternativa? Renzi, ormai leader del Pd premerebbe per le urne anticipate? E lui stesso, Berlusconi, potrebbe aggirare la legge Severino a l’imminente interdizione dai pubblici uffici e ricandidarsi comunque? Troppe incognite. Quel che è certo è che i “penultimatum” del Cavaliere vanno presi sul serio. Abbiamo chiesto a Giulio Sapelli, professore di Storia Economia, cosa accadrebbe in caso di caduta del governo.



Quali sarebbero le ripercussioni più immediate?

Se cadesse adesso ci esporremmo ad un’enorme perdita di credibilità internazionale. C’è appena stato il G20 al quale Letta si è presentato come il premier italiano capace di garantire la stabilità proprio nel momento in cui i rapporti tra Russia e Stati Uniti  sono ai minimi storici dalla caduta del muro di Berlino. Oggi l’Italia può tornare a giocare quel ruolo di mediatore che, storicamente, ha sempre avuto e che ha continuato a ricoprire anche nel Mediterraneo (basti pensare che dalla Libia stanno cacciando tutti, tranne l’Eni) e la fine delle larghe intese, diplomaticamente, rappresenterebbe una catastrofe.



Finanziariamente, invece?

Il mondo finanziario internazionale è diviso. C’è chi è convinto che far cadere il governo sia la cosa migliore per tutti. Sono gli stessi che credono in Renzi e in Grillo (dietro il quale, a mio avviso, c’è un pezzo del Partito Democratico americano impazzito); e c’è chi è opta per una linea conservatrice, è terrorizzato dalla caduta del governo e sa che, in Italia, il vero problema è la magistratura.

Chi prevarrà?

I secondi, tendenzialmente, sono la parte maggioritaria. E sono gli stessi che hanno chiesto a Berlusconi di farsi da parte, pur essendo convinti della scorrettezza della sentenza che lo ha condannato.



Perché dovrebbe fare un passo indietro?

Per consentire a questo governo di continuare a esistere, e di persistere nell’operazione di pacificazione nazionale. 

 

Non crede che, caduto il governo, ci sia la possibilità che i nostri ultimi gioielli di famiglia (Eni, Enel, Finmeccanica ecc…) vengano fagocitati?

No, per vendere i gioielli di famiglia ci vuole un governo.

 

E lo spread?

Lo spread è un’invenzione delle agenzie di rating. Ciò che conta è il costo degli interessi sul debito pubblico. Ora, in un Paese con 60 milioni di consumatori, che il debito pubblico sia di duemila miliardi o di tremila, non gliene importa nulla a nessuno. Ciò che importa agli investitori, lo ripeto, è che il Paese continui a godere di credibilità internazionale. E che non si de-industrializzi. Rischierà di deindustrializzarsi, invece, se le nostre piccole e medie imprese, che stanno resistendo strenuamente ed eroicamente, subiranno il contraccolpo dell’ennesima perdita di credibilità internazionale, già duramente scalfita dal caso dei marò.

 

I penultimatum di Berlusconi contribuiscono all’instabilità?

Indubbiamente. Dovrebbe avere effettivamente il senso della grandezza e fare un passo indietro. Benché, oggettivamente, va riconosciuto che è stato perseguitato dalla magistratura. 

 

(Paolo Nessi)