Nel 2013 la pressione fiscale toccherà il 44,2% del Pil, 12,8 punti in più rispetto al 1980, e ogni italiano pagherà in media 11.629 euro. E’ quanto emerge dalle cifre dell’ufficio studi della Cgia di Mestre, secondo cui il gettito fiscale e contributivo nel 1980 si attestava a 63,8 miliardi di euro, mentre quest’anno arriverà a 694 miliardi di euro. Il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, nel corso del Forum Ambrosetti di Cernobbio ha anticipato che con la legge di Stabilità si fisserà un percorso “pluriennale” per ridurre il cuneo fiscale. Ma per Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’Università Cattolica, “la vera priorità deve essere intervenire per dare maggiore respiro alle famiglie più indigenti, che rappresentano un terzo degli italiani e che pagano molto più tasse di quanto ci si aspetterebbe in un’ottica di progressività fiscale”.



Professor Campiglio, che cosa ne pensa della proposta del ministro Giovannini?

La riduzione del cuneo fiscale non ha un impatto diretto sulla capacità di spesa delle famiglie. Se si riduce il cuneo fiscale, il costo del lavoro per le imprese diventa più basso e quindi ci si attende una maggiore disponibilità delle imprese ad assumere. Se esistono delle condizioni favorevoli sui mercati internazionali ciò può aiutare la ripresa. In questo modo però non si interviene in modo diretto sulla domanda interna.



Per la Cgia di Mestre, la pressione fiscale ha raggiunto il 44%. Che cosa significa questo dato?

Un carico fiscale del 44% pone l’Italia al di sopra della media europea e della Germania, e di poco al di sotto della Francia. Parigi però offre una qualità di prestazioni pubbliche in contropartita molto più efficaci di quelle italiane. In questo quadro ci sono due problemi fondamentali: il primo è quello dell’evasione fiscale, che diventa molto urgente; il secondo è il fatto che il sistema di prelievo fiscale in Italia ha caratteri regressivi.

In che senso parla di caratteri regressivi?



Un terzo degli italiani, rappresentato dalle famiglie con il reddito più basso, paga in proporzione di più di quanto sarebbe legittimo aspettarsi secondo il principio di progressività o quantomeno di proporzionalità. A incidere in modo particolare sono le imposte indirette, l’Iva ma anche l’Irpef. In questo terzo di famiglie sono compresi lavoratori e pensionati con redditi molto bassi. E’ su questa categoria che andrebbero concentrati gli sforzi, i quali non sarebbero particolarmente impegnativi per il bilancio pubblico.

Qual è la sua proposta per ridurre le tasse?

La mia proposta è ridurre la pressione fiscale del 44%, che di per sé è insostenibile, partendo dai redditi più bassi. Le due grandi imposte che pesano di più sono Irpef e Iva. Per le famiglie più povere entrambe queste tasse pesano di più di quanto dovrebbero pesare. La pressione fiscale è decisamente più elevata di quanto sarebbe ragionevole su una base di equità fiscale. Un altro aspetto che entra in gioco è il reddito minimo per essere considerati come familiari a carico, che è rimasto invariato ormai da più di 15 anni, al punto che ormai si tratta di una cifra veramente molto bassa.

 

Quali sono le conseguenze di questo fatto?

Ciò tende a favorire l’ampliarsi dell’economia sommersa in un momento in cui sarebbe opportuno che diminuisse. E’ sufficiente infatti che un familiare abbia un reddito di 250 euro al mese e immediatamente diventa soggetto di tassazione. Il sistema di detrazioni e deduzioni attualmente in vigore tende inoltre a non favorire i redditi molto bassi. Si genera così un fenomeno di incapienza, cioè di redditi così bassi che non solo non dovrebbero pagare le tasse ma che dovrebbe fare sì che lo Stato dia al contribuente anziché il contrario.

 

Quindi dove occorre intervenire?

In un panorama complessivo di un sistema con una pressione fiscale che è ormai anormale e insostenibile, occorre una riduzione della tassazione. Il modo più equilibrato perché ciò avvenga è partire dagli strati sociali per i quali questa pressione è meno sostenibile. Spesso dal punto di vista fiscale si tiene presente soprattutto il problema dell’efficienza, che consiste nel fatto di prelevare l’imposta con il minimo di costi, per esempio attraverso il prelievo alla fonte. Occorre in futuro tenere maggiormente presente anche l’aspetto dell’equità fiscale.

 

(Pietro Vernizzi)