«I bond governativi saranno trattati nella Asset Quality Review esattamente come prevede il principio regolatorio di Basilea: a rischio zero». Sta tutto in questa frase di Mario Draghi nel corso della conferenza stampa di giovedì il senso di quanto sta per accadere: il rischio di un nuovo attacco sull’obbligazionario, un’altra tempesta dello spread. Ritengo superfluo spiegare per l’ennesima volta il discrimine fondamentale del concetto di risk-free, ma lo farò ugualmente: senza quella garanzia, alle banche potrebbero essere chiesti accantonamenti a bilancio per far fronte a potenziali perdite sui titoli di Stato detenuti in portafoglio. E qui cominciano le sorprese.
Ieri, infatti, Banca d’Italia ha pubblicato i dati di novembre su depositi bancari e portafoglio titoli di Stato delle banche operanti in Italia. I dati relativi a ottobre avevano evidenziato un incremento del 5,4% dei depositi, un calo del 4,9% dei prestiti alle imprese (il dato più pesante da luglio 2011) e dell’1,3% per quelli alle famiglie: stabile invece, ai massimi dal 1998, il tasso di crescita delle sofferenze, al 22,9%. Insomma, un disastro totale, un sistema a pezzi. In compenso, per quel che riguarda il portafoglio di titoli di Stato della zona euro detenuti dalle banche italiane, i dati di ottobre avevano mostrato un incremento del controvalore a 399,545 miliardi di euro, incremento confermato a novembre a quota 402 miliardi.
È tornata poi ad aumentare, come vi avevo detto pochi giorni fa, l’esposizione delle banche italiane ai fondi Bce a fine 2013, complice il vistoso incremento dei fondi chiesti e ottenuti nelle operazioni a sette giorni, che ha compensato ampiamente la variazione negativa dei finanziamenti a lungo termine, Ltro in testa. Peccato che questo significhi due cose: primo, le banche italiane avevano scaricato parecchio debito per abbellire i bilanci, ma negli ultimi mesi dell’anno hanno ricominciato a comprare debito, verosimilmente italiano e spagnolo. Guarda caso, con il contemporaneo innalzamento da “taper” del rendimento del Bund, ecco il miracolo dello spread sotto quota 200. Secondo, per acquistare le banche si indebitano a breve con la Bce, invece che erogare credito a famiglie e imprese, calcolando che devono ancora ridare circa 100 miliardi delle due aste Ltro.
Ora, al netto del parafulmine garantito da Draghi – in spregio alla volontà della Bundesbank – non c’è comunque da stare tranquilli: il timing con cui il governatore ha annunciato la cosa è sospetto. I criteri definitivi della Asset Quality Review dovevano infatti essere svelati a fine mese, ma con ampio anticipo Draghi si è premurato di mettere la parola fine sulla questione più annosa. Sa che qualcosa sta per succedere. E presto. Basti guardare cosa sta accadendo sui mercati obbligazionari sovrani e su quelli azionari. La Spagna è sui massimi, viaggia con uno spread più basso del nostro e l’Ibex sembra Wall Street, a fronte di dati macro del Paese che conoscete da tempo.
Si colpirà dunque la Spagna? No, la vittima destinata a far partire il domino potrebbe essere il Portogallo, piccolo, fragile, salvabile ma terribilmente interconnesso proprio all’economia e al sistema bancario spagnolo. Il detonatore perfetto. Vediamo qualche numero relativo a Lisbona, visto che il buon Barroso l’altro giorno ha magnificato i progressi del Paese, vantando i nove mesi di fila di calo della disoccupazione. Bene, in realtà i numeri di persone con un impiego si è solamente stabilizzato, dopo essere passato da 5,228 milioni a 4,554 milioni, con un tasso molto alto di emigrazione giovanile che di fatto appiattisce il tasso dei senza lavoro. Negli ultimi due anni, la ratio debito/Pil è salita dal 108% al 128%, dati Fmi: lo stesso ritmo di crescita di Italia e Spagna, mentre il deficit di budget è ancora al 5,5% del Pil.
In compenso, attraverso il programma Target2 le banche centrali dell’Unione stanno fornendo un alto livello di finanziamento al Paese. Le due aste Ltro finanziano il 9% delle liabilities bancarie portoghesi, la Bce ha già acquistato l’11% del debito sovrano portoghese, il 23% del bonded debt, la Bei ha garantito al Portogallo più fondi che a qualsiasi altro Paese in relazione al Pil, i fondi di salvataggio Efsf ed Esm rappresentano il 22% del debito sovrano portoghese, mentre il Fondo monetario il 12%. Dunque, stante che anche con un aumento spropozionato del Pil e nuove riforme strutturali il Portogallo da solo sarebbe in grado di coprire solo il 50% del costo del servizio del suo debito, cosa dobbiamo concludere? Che il Portogallo è vivo perché è tenuto in vita, altro che uscita dalla crisi. Ma tant’è, cos’è accaduto giovedì in contemporanea con la riunione della Bce? Il Tesoro portoghese è tornato sul mercato emettendo debito a 5 anni per un controvalore di 3,25 miliardi di euro contro le previsioni di 2-2,50 miliardi, pagando un rendimento del 4,75%. Insomma, tutti a comprare portoghese e ci mancherebbe altro: il Paese sta risollevandosi, anzi si è risollevato e paga uno yield ottimo. Pochi giorni prima era stata un’altra nazione risanata a piazzare un decennale con grande successo (domanda tre volte l’offerta) e yield addirittura al 3,40%, ovvero l’Irlanda.
Insomma, i cosiddetti Piigs sono tornati appetibili. Per i gonzi. Già, perché da settimane ormai – le stesse che vedono gli spread comprimersi e prezzi salire – chi di dovere sta vendendo al parco buoi obbligazioni periferiche europee che aveva preso a suo tempo a due lire, sicuro che la liquidità della Fed e la protezione della Bce – oltre alla liquidità Ltro in circolo tra le banche – avrebbero permesso a quei pezzi di carta di crescere in valore, com’è accaduto. Sapendo però che tutta questa crescita è scollegata dalla realtà e dai dati macro e accorgendosi che i sostegni delle banche centrali non possono essere né eterni, né di quelle entità, vendono a prezzi altissimi. Fanno profitti e scappano, tanto il parco buoi si ammazza pur di avere quella carta. Non ci vuole molto, basta decidere che un valore va gonfiato e lo si fa gonfiare, comprando alle aste, facendole diventare un successo, tramutandole in titoli di giornale e poi in affari da vendere sul mercato secondario.
Sapete chi c’era a Lisbona nel giorno dell’asta per incontrare il ministro delle Finanze, Maria Luis Albuquerque e poi il primo ministro? Il segretario al Tesoro Usa, Jack Lew, il quale si è complimentato per l’ottima riuscita dell’asta e ha tessuto le lodi della ripartenza europea dopo la crisi: chissà quanti fondi e banche d’affari Usa hanno piazzato e stanno piazzando al parco buoi titoli portoghesi o spagnoli in queste ore. Anche perché ormai è una mania: i bond governativi greco e portoghese sono i top performers nella loro categoria year-to-date, con un ritorno rispettivamente del 3,3% e del 2,5%, dati Bank of America-Merrill Lynch. Siamo alla follia, parlando di due paesi il cui rating di credito è ancora “junk”, spazzatura. Non a caso, la Tortus Capital Management, un hedge fund, è già pesantemente short sui bond sovrani portoghesi, dicendosi certa che Lisbona avrà bisogno di una ristrutturazione del debito in stile greco.
Sbaglierà, come Bill Ackman e dovrà correre a coprire una grossa perdita perché invece il mercato continuerà a dare fiducia al Portogallo, come alla Grecia e all’Irlanda? Speriamo di sì, ma il rischio che proprio nel momento dell’euforia massima una sell-news mandi in fibrillazione il mercato c’è tutto, nelle sale trading ne si sente l’odore: mentre tutti comprano felici, qualcuno scarica. E facendo rumore. È già successo e noi ne sappiamo qualcosa.
Se dovesse capitare, cosa farà Mario Draghi? Il Portogallo è piccolo, relativamente salvabile in una settimana o due. Ma l’interconnessione con la Spagna, quella sarebbe davvero un guaio. Grosso.