Detroit (Salone dell’auto), 13 gennaio 2014. In una conferenza stampa dai contenuti piuttosto annunciati, Sergio Marchionne e John Elkann incontrano i media italiani. Nessuna novità, se non la comunicazione che la quotazione, la sede e la questione legale saranno temi affrontati nel consiglio di amministrazione di Fiat, che discuterà il processo di fusione con Chrysler il 29 gennaio. La sede del nuovo gruppo è solamente un problema “emotivo”, così lo definisce Marchionne, perché Fiat continuerà a produrre e, quindi, a pagare le tasse in Italia.
In realtà, trattasi di qualcosa di più di problema emotivo, ma Marchionne sta mandando un messaggio a Enrico Letta: l’esecutivo ha dunque circa due settimane per cominciare a dialogare con il Lingotto circa l’ubicazione del quartier generale del nuovo gruppo. È chiaro che ciò che conta è il futuro degli stabilimenti, certo è che l’Italia deve imparare a dialogare con le industrie e con i grossi gruppi. Fiat che sposta la sede a Detroit non è certamente un buon segnale per l’Italia da un punto di vista della sua immagine nel mondo.
“Spero che il nostro impegno industriale per il gruppo Fiat-Chrysler non venga ostacolato. Il nostro impegno è posizionare i marchi italiani nel mondo e siamo convinti che possiamo fare del bene al Paese”. Abbiamo già detto quanto i veri ostacoli per Marchionne non provengano certo dal sindacato: per la cronaca, Maurizio Landini nemmeno nominato in questa conferenza stampa.
A precisa domanda “C’è qualcosa che vorreste chiedere al governo italiano?”, Marchionne risponde così: “Non saprei come rispondere. Naturalmente c’è la crisi, ma in Italia dovrebbero fare quel che fanno tutti i governi”. Ha poi aggiunto che piuttosto che pensare a misure fiscali come il super bollo, che danno risultati mediocri, sarebbe meglio concentrarsi su un sistema di incentivi per l’acquisto dell’automobile.
Come anticipato nell’intervista a la Repubblica, Marchionne torna sulla linea strategica: Fiat vuole andate oltre il mass market e lanciare i suoi marchi premium come Alfa Romeo, che può integrarsi con la capacità distributiva della rete Chrysler. La sfida Alfa Romeo è ben più grande di quella europea, e riguarda più mercati. A questo proposito, i dettagli verranno dati il 1° maggio, quando sarà presentato il piano industriale del triennio 2014-2017.
L’ad di Fiat-Chrysler parla anche del cambiamento fondamentale nella struttura dell’economia americana e delle incertezze di quella italiana ed europea: “I volumi degli ultimi mesi non sono un fuoco di paglia, io continuo a essere ottimista sulle condizioni americane e sull’industria dell’auto negli Stati Uniti. In Italia invece, come del resto in Europa, c’è mancanza di certezza nel futuro, c’è paura. Un mercato da 1.300.000 vetture, ci vorrà molto tempo prima che avverrà la ripresa. Sono convinto che nel 2014 ci sarà un segno positivo, ma non sarà significativo. Dal punto di vista dell’occupazione, vogliamo far rientrare tutti i cassaintegrati, ma, naturalmente, dipende da come si muoverà il mercato”.
Per quanto riguarda i mercati asiatici, dove Fiat sconta una debolezza storica, Marchionne annuncia che la casa torinese ha trovato in Cina un partner solido e serio, e che sta concludendo gli ultimi dettagli per quanto riguarda la produzione direttamente in loco.
Sul futuro di Marchionne parla Elkann: “Quello di cui sono sicuro è che il vertice della società sarà formato dal dott. Marchionne e dal sottoscritto. Il piano di maggio è triennale e verrà portato avanti da lui, sotto la sua gestione”. Quindi Marchionne, fino almeno al 2017, sarà ancora l’ad di Fiat-Chrysler. Elkann in chiusura aggiunge che è molto felice, perché “sono 20 anni che sono dentro la Fiat. La Fiat ha vita precaria in Italia. Oggi si apre una strada per un futuro che abbiamo sempre sognato”.
Una considerazione conclusiva: innanzitutto, non si può pensare di avere da Fiat investimenti al buio in Italia, in cui – per usare le parole del manager italo-canadese – “abbiamo sovvenzionato le attività creando perdite”: naturalmente essi sono una variabile dipendente dall’andamento del mercato e dalla produttività. E naturalmente, pur auspicando una ripresa dell’economia europea, il destino vero delle fabbriche italiane sarà in gran parte legato all’export. È probabile che, il rinnovo del contratto in atto, terrà conto di nuove condizioni di flessibilità del lavoro proprio in virtù del prossimo piano industriale e dell’export. Ma… a quando un piano di politica economica per favorire le nostre esportazioni?
In collaborazione con www.think-in.it