Il futuro di Fiat, che come abbiamo scritto una settimana fa pare segnato in Italia, è tuttavia sempre più solido Oltre Oceano: Fiat ha infatti sottoscritto l’accordo con il Veba Trust, fondo previdenziale del sindacato americano Uaw, per acquisire la restante quota del capitale di Chrysler Group detenuta dallo stesso fondo. Fiat sale così al 100% di Chrysler, acquisendo la partecipazione del 41,5% di Veba per un valore pari a 3,65 miliardi di dollari. A Veba, che gestisce l’assistenza sanitaria a circa 60 mila pensionati della casa automobilistica di Auburn Hills, Fiat verserà quindi 1,9 miliardi di dollari come dividendo straordinario, e 1,750 milioni di dollari cash tramite liquidità disponibile. Il closing è fissato al 20 gennaio 2014.
Il baricentro del gruppo dunque è sempre più spostato Oltre Oceano, anche perché il mercato europeo è ormai in forte crisi da diversi anni. I produttori generalisti stanno soffrendo una grande crisi, ad eccezione di quelli che hanno saputo riposizionarsi su scala globale, come Volkswagen e Toyota. Fiat, nella giusta scelta di andare alla “conquista dell’America” è riuscita a limitare le sofferenze europee, con il buon andamento del mercato americano. Il successo dell’operazione deriva anche da una crescita costante e senza strappi nel capitale di Chrysler. Alla luce della struttura di finanziamento dell’operazione Veba – ha sottolineato il Lingotto in una nota – non è previsto un aumento di capitale da parte di Fiat.
Chrysler Group e il fondo sanitario Usa hanno inoltre concordato un memorandum d’intesa, ad integrazione dell’attuale contratto collettivo di Chrysler, nel quale sono previste ulteriori contribuzioni da parte di Chrysler a Veba per un importo complessivo pari a 700 milioni di dollari in quattro quote paritetiche pagabili su base annua. Il pagamento della prima quota avverrà in concomitanza con il closing dell’operazione con Fiat, mentre le tre rimanenti quote saranno versate nei tre anni successivi nel giorno dell’anniversario del pagamento della prima quota. Qualche ottimista aveva previsto la chiusura dell’operazione con Veba prima di Natale: si trattava di assegnare il giusto prezzo al 41,5% di Chrysler che il fondo americano custodiva gelosamente in cassaforte.
La posizione di Veba si era indebolita nel momento in cui era emerso, dai suoi bilanci del 2012, un rosso di 3 miliardi di dollari. L’esigenza, quindi, era di monetizzare velocemente la partecipazione in Chrysler allo scopo di coprire il buco e abbattere l’indebitamento.



A condizionare le decisioni di Veba ci sarebbero state anche le forti incertezze sia per l’avvio della riduzione degli aiuti all’economia prevista dalla Fed, sia per il riproporsi, all’inizio del prossimo anno, del problema sul tetto debito. Da qui le necessità per Veba di non rischiare e di trovare un accordo con Fiat. Lo stesso vale per i sindacati, viste le prospettive per nulla rosee palesate da Chrysler nel documento S-1 depositato alla Sec (la Consob di Wall Street), dove emergevano tutti i rischi (anche occupazionali per gli operai americani e canadesi) che l’alleanza Fiat-Chrysler avrebbe corso in caso di ritardata fusione.
“Aspetto questo giorno sin dal primo momento – ha dichiarato John Elkann – sin da quando nel 2009 siamo stati scelti per contribuire alla ricostruzione di Chrysler. Il lavoro, l’impegno e i risultati raggiunti da Chrysler negli ultimi quattro anni e mezzo sono qualcosa di eccezionale”.
Comprensibile la soddisfazione dei vertici del Lingotto: l’operazione come ha affermato Sergio Marchionne, può far diventare Fiat-Chrysler “un costruttore di auto globale con un bagaglio di esperienze, punti di vista e competenze unico al mondo”. Se non unico al mondo, sicuramente tra i leader dell’automotive: ciò che Maurizio Landini, Stefano Fassina e Corrado Passera, per citarne alcuni senza scomodare magistrati e giornalisti, non hanno compreso in questi anni. Fiat dovrà rinforzarsi in Asia, dove sconta una debolezza storica, altrimenti non riuscirà a fare quel salto da attore regionale a globale. Quel che è certo, è che il mercato italiano conta sempre meno, soprattutto dopo la scalata al 100% di Chrysler: un altro passo verso l’abbandono dell’Italia?



(in collaborazione con www.think-in.it)

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