Riassumiamo cos’è successo in Europa dopo il 1991, anno della firma del Trattato di Maastricht (Trattato sull’Unione europea – Teu), fino a oggi. In sintesi, il Teu prevedeva un percorso programmatico di convergenza che creasse le condizioni per lo “sviluppo armonioso”, pur se con spinte sanzionatorie, per la realizzazione dell’Unione economica e monetaria (Uem) e la creazione di un’entità sovranazionale politica europea, l’Unione europea (Ue) dotata di personalità giuridica internazionale. Nel percorso programmatico previsto dal Teu e nei suoi risultati si confermava l’applicazione del sistema comunitario, ovvero dell’eguaglianza degli Stati sovrani membri delle Comunità europee (Ce). Non a caso la Commissione manteneva un ruolo centrale di iniziativa legislativa e tutela dei Trattati oltre che di controllo e sanzione per gli Stati, mentre il Consiglio manteneva le prerogative di decisione politica (pur se sempre più temperate con il concorso del Parlamento europeo).



L’Unione europea che si immaginava e si sognava in base al progetto Delors – la realizzazione di un’Unione politica europea – non è stata mai realizzata se non nella sua parte di rappresentanza istituzionale decisa con il pasticciato trilogo istituzionale (Consiglio-Commissione-Parlamento). Il Trattato di Lisbona, firmato nel 2007 e non a caso denominato Trattato sul funzionamento dell’Ue (Tfeu), ha ulteriormente complicato il trilogo, creando confusione al vertice del sistema europeo. Infatti, il Tfeu ha sovrapposto due nuovi organi di rappresentanza politica (Presidente del Consiglio dell’Ue che è il rappresentante legale dell’Ue; Alto Commissario dell’Ue per gli affari esteri e le politiche di sicurezza che è anche vicepresidente della Commissione) a quelli istituzionali già esistenti (Presidente della Commissione; Presidenza di turno dell’Ue; Presidente del Parlamento), e non ha risolto affatto la carenza di democraticità del sistema istituzionale europeo. Inoltre, sebbene il Tfeu abbia deciso che il Consiglio nominasse il presidente della Banca centrale europea (Bce), facendola diventare un’istituzione europea, in nome dell’indipendenza della Bce non è stata prevista alcuna possibilità di controllo da parte delle altre istituzioni europee, fatta eccezione per la retorica funzione di “riferire” al Parlamento europeo.



L’Unione economica progettata nel Teu non è mai nata. Qualche progresso si è fatto in alcuni settori che hanno approfondito o perfezionato quanto già era stato deciso nel 1986 con l’approvazione dell’Atto unico europeo (Aue), che creò il mercato unico europeo. La debolezza delle istituzioni comunitarie, e particolarmente della Commissione europea, ha fatto perdere agli Stati membri preziose opportunità negli anni ’90. Invece, quelle opportunità furono colte autonomamente dalla Germania guidata dal riformista socialdemocratico Schroeder che trasformò profondamente il Paese rendendolo più competitivo. Il mandato politico di realizzare l’Unione economica è stato disatteso dalle istituzioni europee nonostante l’impegno del socialista francese Delors, che lasciò la presidenza della Commissione europea nel 1995.



Il ciclo di crescita e di espansione economica degli anni ’90 avrebbe permesso di realizzare quelle riforme strutturali che erano necessarie e propedeutiche perché potesse esistere l’Uem prevista dal Teu. È giusto ricordare che le istituzioni europee non erano dotate – né in termini di capacità, né in termini di mandato – a poter realisticamente realizzare le riforme strutturali delle economie e delle società dei paesi membri. D’altra parte, gli Stati membri e i governi del tempo continuavano a immaginare che l’Europa fosse quel sistema diplomatico, cooperativo e mutualistico che per 40 anni avevano conosciuto e usato, dai Trattati di Roma in poi.

I fattori geopolitici esogeni all’Europa (fine della Guerra Fredda; guerra in Jugoslavia; creazione dell’Omc) non furono sufficienti a far cambiare di passo ai politici degli Stati membri delle Comunità europee che, sostenuti dalla fede nel roboante mercato finanziario della new economy (le valorizzazioni stratosferiche delle società dell’indotto informatico e Internet), speravano di evitare scelte politiche impopolari come le riforme strutturali. Insomma, la politica di tutti i paesi europei, fatta eccezione per la Germania e il Regno Unito, era tranquillamente adagiata aspettando la “copertura” americana mentre continuavano business as usual.

L’euro che era stato approvato con il Teu non è mai esistito, ma al suo posto, con il regolamento 1466/97 si è introdotta un’altra moneta, anch’essa denominata “euro”, che, pur volendo credere alla buona fede di chi l’approvò, ha contraddetto il Teu perché ha anzi tempo imposto i cambi fissi con l’elusione delle verifiche e delle convalide necessarie, preventive e propedeutiche che la Commissione avrebbe dovuto condurre.

Con il regolamento 1467/97 – regolamento sul deficit eccessivo, modificato nel 2010 dal “Six Pack” approvato dall’Ecofin – è stata realizzata in tutta fretta l’Unione monetaria. L’urgenza, dicono i fautori, era stata dettata dal fatto che i mercati non avrebbero aspettato i tempi comunitari. Secondo altri, fu più determinante la pressione americana che temeva il contagio all’Europa in seguito al crac della finanza asiatica del 1997. Resta il fatto che, ribaltando la decisione politica del Teu, l’Unione monetaria ha anteposto la moneta alle realtà dei singoli Stati membri, obbligando quest’ultimi a conformarsi agli obiettivi di rigore e austerità che, benché previsti programmaticamente dal Teu, sono invece stati rigidamente resi cogenti.

Infatti, non è un per caso che l’Unione monetaria ha previsto una “crescita vigorosa” in sostituzione del citato “sviluppo armonioso” previsto dal Teu. Non può sfuggire la differenza di passo tra un approccio autocratico, il primo, che ha sostituito quello politico, il secondo.

Ricordando che sia la Cee, sia l’Ue sono sostanzialmente costruzioni giuridiche e non economiche, e che solo in forza di questa loro pregnante caratteristica hanno potuto essere sovraordinate alle sovranità giuridiche nazionali, l’attuale costruzione giuridica monetaria europea è inficiata di nullità perché un regolamento (1466/97), fonte giuridica inferiore che non necessita di ratifica nazionale, non può contraddire il dettato della fonte superiore che era ed è il Teu. Infatti, il contenuto del Teu è stato sistematicamente riconfermato e ratificato da tutti i Trattati successivi fino al 2007. Invece, come vedremo di seguito, in forza dei regolamenti 1466/97 e 1467/97, tra il 2010 e il 2012 sono stati adottati una serie di strumenti giuridici che hanno stravolto il modus operandi e gli obiettivi stessi dell’Unione europea.

Questo shock giuridico è stato propagandato da un potente meccanismo di comunicazione in cui schiere di economisti, ministri dell’Economia e delle Finanze, giornalisti e opinion makers hanno convinto le popolazioni degli stati membri che quell’euro era quello previsto dal Teu e che era la sola soluzione al “baratro”, al “declino”, al “fallimento”, alla “crisi inflazionistica”, alla “svalutazione”. Insomma, una macchina del “terrore” mediatico ha assolto al compito di coprire il colpo di mano che si era realizzato con il regolamento 1466/97.

In un recente saggio, un eminente giurista italiano, il professor Giuseppe Guarino, ha scritto che si è trattato di “un colpo di stato”. Gli fa eco anche l’emerito sociologo italiano, Luciano Gallino, che in un suo recente libro indica come la costruzione dell’Unione monetaria europea sia una “fabbrica dell’egemonia” nel solco del “totalitarismo neoliberale”. Paradossale è che i principali sponsor politici del meccanismo di propaganda siano stati proprio i partiti socialisti e socialdemocratici europei, con l’unica eccezione del PS francese che si divise. Questi stessi partiti, in precedenza, avevano fatto fallire i propositi ben più olistici ed europeisti del piano Delors.

I conservatori europei (democristiani e liberali) non hanno eccepito perché il loro elettorato, avendo il controllo del capitale industriale e finanziario, ha facilmente beneficiato dell’opportunità che il sistema dei trasferimenti interni e della libera circolazione dei capitali offriva loro. Invece, è deprimente che i sindacati non abbiano preso alcuna posizione in merito, se non qualche vago richiamo ai diritti sociali e alla loro trasferibilità all’interno del mercato unico europeo.

 

(1- continua)

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