Il Consiglio dei ministri ha approvato ieri il “decreto privatizzazioni” che prevede la cessione di una quota del 40% di Poste Italiane. L’obiettivo, secondo il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, sarebbe quello di raccogliere quattro miliardi di euro nel 2014. Per Giulio Sapelli, docente di Storia economica all’Università degli Studi di Milano, siamo alle solite: «La privatizzazione delle Poste è una cosa acefala, senza senso e non conduce a una politica industriale. Bisognava inserirle in un disegno di politica industriale creando una grande impresa di logistica capace di offrire servizi. Anche questa volta perdiamo un’occasione per il nanismo intellettuale di quelli che stanno al ministero dello Sviluppo economico».
Giusto privatizzare le Poste?
Se la privatizzazione viene fatta per ridurre il debito pubblico non serve assolutamente a niente. L’esperienza ha ormai dimostrato che non c’è privatizzazione al mondo che possa ridurre il debito pubblico. C’è un libro, uscito negli anni 90, di Bortolotti-Siniscalco, che ormai è main stream, che diceva una cosa curiosa.
Cosa diceva?
Quel libro faceva il conto delle privatizzazioni, la quantificazione di quello che era stato privatizzato. E lì si vedeva che proprio l’Italia, dal punto di vista del valore nominale delle azioni, aveva compiuto la più vasta privatizzazione al mondo. Ciò nonostante questo non ha cambiato di un efa la nostra posizione nella classifica dei paesi afflitti dal debito pubblico. Il Giappone, che invece non ha privatizzato nulla, ha il debito pubblico più alto del mondo. Quindi, queste stupidaggini che gli economisti neoclassici continuano a dire non hanno nessun senso. Le privatizzazioni generalmente si fanno per altri scopi.
Quali sono questi scopi?
Si fanno per togliere da monopoli, settori pubblici non contendibili affidando le imprese ad aziende contendibili da cui ci si attende un improvement managerialistico. Per cui si sceglie la formula della public company o dei noccioli duri. In Italia questo non è mai stato fatto. E anche nel caso delle Poste, la cosa più grave è che la privatizzazione non ha dietro di sé un disegno strategico.
Cosa dovremmo fare delle Poste?
Dovremmo fare quello che ha fatto la Deutsche Post. Ovvero trasformare le Poste in una grande impresa di logistica. Cos’hanno le poste? Aerei, servizi ferroviari, camion, hanno automotive. Invece si continua a privatizzare con questo spirito che offende quello dei ragionieri, che invece sono persone di buon senso.
Cos’è mancato anche questa volta?
La privatizzazione delle Poste è di nuovo una cosa acefala, senza senso e non conduce a una politica industriale. Privatizzare le Poste voleva dire inserirle in un disegno di politica industriale creando una grande impresa di logistica capace di offrire una serie di servizi a piccole e medie imprese che non hanno grandi aree logistiche e non possono fare da sole. Anche questa volta perdiamo un’occasione per il nanismo intellettuale di quelli che stanno al ministero dello Sviluppo economico.
Come valuta la decisione di mettere sul mercato la quota del 40% e quella di tenere insieme la parte banca e quella spedizioni?
Penso che sia un grossolano errore. La parte banca andrebbe chiusa ed eliminata, ma non si può chiuderla, è stato un errore farla. Ripeto, la parte spedizione dovrebbe invece diventare una grande impresa di logistica. Anche la decisione di tenere insieme due realtà così diverse è sbagliata. Le Poste infatti sono un ircocervo, uno strano animale che non esiste in nessuna parte del mondo. In nessuna parte del mondo c’è un’impresa postale che governa una banca e nello stesso tempo da il risparmio postale alla Cassa depositi e prestiti. Che non è altro che un artificio contabile per non far entrare gli interventi delle imprese nel bilancio dello Stato. In più…
In più?
Le privatizzazioni fatte in questo modo espongono a rischio anche il risparmio che è lì depositato. Siamo veramente in mano a degli incompetenti.