“La vittoria di Marchionne nella partita per Chrysler mette sotto gli occhi di tutti quanto la realtà dell’industria italiana stia cambiando. Prova ne sono le aperture del segretario Fiom Landini al piano per il lavoro di Matteo Renzi”. Lo afferma Gianni Riotta, ex corrispondente del Corriere della Sera dagli Stati Uniti, ex direttore de Il Sole-24 Ore e attualmente editorialista de La Stampa, secondo cui “oggi non esiste più, come vorrebbe una certa sinistra, un modo italiano di organizzare il lavoro nelle fabbriche di auto, contrapposto a quello cinese e americano, ma un unico modo globale che va adottato anche in Italia”. L’accordo tra Fiat e Veba prevede che la casa torinese salga al 100% di Chrysler in cambio di un corrispettivo pari a 3.650 miliardi di dollari. Il risultato è che ieri in Borsa il Lingotto ha segnato il +16%, e l’agenzia di rating Fitch ha giudicato positivamente l’operazione.
Riotta, qual è il significato di questo accordo tra Fiat e Veba?
Questo accordo è un successo dell’operazione di Marchionne, che era arrivato alla Fiat per salvare la casa automobilistica torinese. Anche se oggi sembra che tutti lo abbiano dimenticato, i grandi organi finanziari internazionali, come il Wall Street Journal, il Financial Times e l’Economist, all’epoca davano Fiat per spacciata. All’indomani dell’accordo Marchionne si trova fra le mani un colosso presente in Europa, America e Paesi in via di sviluppo dall’India al Brasile, con molti più margini di manovra rispetto al passato. In più potrà rilanciare il marchio Fiat in Italia e in Europa. Davanti al successo di oggi anche la Borsa sta reagendo molto positivamente, ma continuano a esserci delle sfide molto importanti.
Quali saranno per il nostro Paese gli sviluppi e le conseguenze di questo accordo?
Ho visto le aperture di Landini, leader storico della Fiom, al nuovo piano sul lavoro di Renzi. E’ possibile che anche quest’ala del sindacato si renda conto che non esiste un modo italiano di fare le automobili, contrapposto a uno americano o cinese. L’unico modo possibile è infatti quello globale, e quindi anche noi italiani dobbiamo seguirlo. Può darsi che, tra le tante cose che sta facendo, Marchionne riuscirà anche in qualche modo a cambiare una cultura obsoleta.
Qual è il nucleo della novità rappresentata da Marchionne?
Marchionne è tante cose insieme. Certamente è stato un abilissimo uomo di finanza, perché il modo in cui ha giostrato in piena crisi dell’auto usando la sponda politica di Barack Obama è stato certamente molto brillante. Nel nostro Paese invece ha sofferto di più. Prima gli italiani lo hanno incensato al di là di ogni logica, al punto che Bertinotti giunse a dire: “Magari a sinistra avessimo qualcuno come Marchionne”. Si è poi passati a definirlo un padrone bieco. Naturalmente l’ad di Fiat non è né il messia salvifico della sinistra italiana, né il bieco padrone delle ferriere. E’ un uomo di finanza e d’industria, che ha salvato la Fiat triangolando con Chrysler e ora si trova in mano due grandi marchi.
Perché prima ha messo in relazione il successo di Marchionne con l’apertura di Renzi a Landini?
Landini ha capito che i tempi stanno cambiando. Il tradizionale pressing della Fiom, l’ala militante del sindacato, sui segretari Pd di estrazione comunista non ha nessuna chance di funzionare su Renzi che viene da tutt’altre origini politiche e culturali. Mi ha quindi sorpreso la spregiudicatezza con la quale Landini ha cambiato completamente linea, appoggiando un piano del lavoro che fino a non molti anni fa avrebbe condannato nelle piazze con grande violenza. Questa spregiudicatezza aperturista di Landini un domani potrà approdare anche al piano Marchionne, rendendosi conto che l’aria sta cambiando e che i suoi interlocutori diminuiscono. E chiaro che Landini è mosso anche da ragioni di polemica interna al sindacato, perché candidandosi come primo interlocutore del neo-segretario del Pd, Renzi, in qualche modo esautora la sua rivale storica, Susanna Camusso.
(Pietro Vernizzi)