«Il messaggio della Fed ai mercati è che la grande recessione è finita e che stiamo ritornando agli alti e bassi dei cicli economici normali. L’allentamento del quantitative easing sta creando però grandi problemi alle economie dei paesi emergenti e alla stessa Europa». Lo evidenzia Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, secondo cui «la Bce dovrebbe rispondere alla decisione della Fed con contromisure che vadano proprio nella direzione opposta, attraverso una politica monetaria più espansiva che funga da stimolo all’offerta di credito di Italia e Spagna». Mercoledì sera, infatti, la Federal Reserve Usa ha annunciato una riduzione negli acquisti di bond pari a 10 miliardi di dollari al mese. La decisione si inserisce più in generale nel piano per abbassare gli stimoli eccezionali all’economia, che è stato adottato nonostante le numerose difficoltà cui stanno andando incontro i mercati emergenti. In ogni caso gli Stati Uniti vedono brillare il loro Pil, con aumento nel quarto trimestre del 2013 pari al 3,2%. Ben Bernanke, che ha lasciato la plancia di comando della Fed a Janet Yellen, ha mantenuto invariato il piano di lungo termine per tenere bassi i tassi d’interesse. A partire da febbraio la Fed acquisterà 65 miliardi di dollari di bond al mese, anziché gli attuali 75 miliardi, dividendo in parti uguali l’acquisto di buoni del Tesoro e di obbligazioni.



Professor Campiglio, qual è il contesto generale in cui si inserisce la decisione della Fed?

Finora negli Usa c’è stata una moderata ripresa economica, favorita dalla politica monetaria della Federal Reserve che ha fornito liquidità e una tacita assicurazione sul fatto che gli investitori potessero operare senza troppi rischi. Il quantitative easing della Fed è stato determinato dalla crisi del 2008, e la sua riduzione vuole essere una sorta di ritorno alla normalità.



È questo dunque il messaggio della Federal Reserve?

Il messaggio della Fed ai mercati è che la grande recessione è finita e ritorniamo in una situazione economica in cui ci saranno gli alti e i bassi dei normali cicli economici. Non dobbiamo però dimenticarci che dopo l’esperienza della Grande Depressione, nel 1937, la politica economica Usa contro la recessione fu allentata e questo non rappresentò un beneficio.

Torniamo ai giorni nostri. Quali problemi può causare la decisione della Fed?

Il segnale di ritorno alla normalità da parte della Fed sta già creando grossi problemi, soprattutto ai Paesi emergenti come la Turchia e gli Stati del Sudamerica. Il beneficio in termini di disponibilità del capitale che in questi anni è andato a favore dei mercati emergenti, si sta interrompendo bruscamente. È difficile dire quali saranno i riflessi sull’economia italiana ed europea in generale, ma potrebbe esserci un qualche problema o un rallentamento complessivo.



 

Insomma, è tutto fuorché una mossa indolore?

Esattamente. Si vuole ritornare alla normalità, ma ciò avviene nel quadro di una ripresa americana che è ancora inadeguata ad assorbire le ferite sociali ed economiche di questi anni. L’allentamento del quantitative easing sta inoltre provocando una riallocazione mondiale del portafogli titoli che danneggia i Paesi emergenti.

 

Quali sono le contromisure che dovrebbero essere assunte dagli organismi europei?

La Bce è preoccupata in misura crescente per i pericoli di deflazione, cioè per il fatto che le economie dei paesi in crisi possano non riprendersi con forza per assorbire l’elevata disoccupazione europea. Ciò rende necessaria una politica monetaria più espansiva e in grado di stimolare l’offerta di credito nei due grandi Paesi in sofferenza, che sono l’Italia e la Spagna.

 

(Pietro Vernizzi)