La trasformazione della Banca d’Italia in public company è passata in sordina nei giorni scorsi. La commissione Finanze del Senato è riuscita tuttavia a imporre alcune modifiche a quello che qualcuno ha definito un “regalo di Natale” agli istituti di credito azionisti storici di via Nazionale. Non per tutti, però, si tratterà di un affare: ci sono banche che nel tempo hanno rivalutato le loro quote – come Intesa Sanpaolo e Unicredit – e in base alla nuova valutazione avranno benefici enormi; altri, come Carige e Mps, che avevano ritoccato le partecipazioni al rialzo e adesso devono svalutare. Ilsussidiario.net ha chiesto un parere ad Antonio Maria Rinaldi, docente di Economia internazionale all’Università di Chieti–Pescara.
Cosa pensa della situazione che si è creata con il nuovo statuto della Banca d’Italia?
Abbiamo privatizzato definitivamente la Banca d’Italia barattandola una tantum con l’incasso fiscale che si ottiene per effetto della rivalutazione, visto che per le banche c’è una plusvalenza. Chiaramente le banche dovranno pagare il differenziale fra il valore che hanno in carico e quello che invece verrà iscritto con la nuova rivalutazione.
Sta dicendo che d’ora in avanti la Banca d’Italia non è più pubblica?
Nello statuto si dice che è un istituto di diritto pubblico, ma di fatto le quote sono detenute da privati. Bisogna dire che il 23 dicembre si doveva completare un iter che invece è stato stoppato dalla Commissione Finanze del Senato che ha introdotto alcune modifiche al decreto legge sulle quote di proprietà della Banca d’Italia. In particolare, è stata risolta la questione della libera trasferibilità delle quote. Senza vincoli precisi era più facile vendere. E lo si poteva fare a chiunque. In pratica è stata ripristinata la vecchia clausola di gradimento che era stata tolta dalla versione originale. È giusto che ci sia una clausola di questo tipo. È una sorta di diritto di veto: se arriva un fondo che vuole comperare, ad esempio, il 5% della Banca d’Italia deve esserci la possibilità di dire no, non va bene.
Quali altre modifiche sono state apportate al decreto legge?
Per fortuna la Commissione ha stabilito che le società proprietarie dovranno avere sede legale e amministrazione centrale in Italia. Se ad esempio, il Credit Lyonnais volesse comprare una quota della Banca d’Italia non lo potrebbe fare perché non ha sede legale e amministrazione centrale da noi. In questo modo le quote rimangono almeno nel contesto nazionale.
Se è stato un regalo alle banche, i benefici per i loro bilanci si vedranno tuttavia a partire dal 2015. Non è così?
Il disegno iniziale era di concludere l’iter entro la fine di quest’anno. Poi, per fortuna ci sono state forti critiche è tutto è stato posticipato, non sappiamo neanche a quando. È presumibile che quel documento possa essere ancora rivisto. Tuttavia non per tutti sarà un affare.
Per chi non lo sarà?
Il motivo è semplice. Il valore del capitale della Banca d’Italia era fermo addirittura al 1936, al famoso Testo unico bancario, che è tra le migliori leggi che furono mai fatte. Infatti, ci ha preservato da grandi problemi, specialmente quelli dell’ultima crisi finanziaria. Uno degli estensori fu Menichella, che poi diventò governatore della Banca d’Italia.
Può fare degli esempi?
Solo per alcune banche sarà un affare. Per quelle che nel frattempo hanno effettuato rivalutazioni. Il caso classico è quello di Intesa Sanpaolo, che è una delle principali azioniste, con addirittura il 42,51% determinato dalle varie fusioni che ci sono state nel tempo. Oppure Unicredit che si trova al 22%; le due insieme hanno di fatto la maggioranza. Intesa, per esempio, ha iscritto a bilancio queste quote per 624 milioni, perché nel frattempo, per aggiustare i suoi conti, ha rivalutato queste quote. Se passasse la rivalutazione che è stata proposta, che si aggira attorno ai 7,5 miliardi di euro, la partecipazione di Intesa invece di 624 milioni varrebbe fra i 2 miliardi e 100 e i 3 miliardi di euro, dipende dalla forbice che va da 7 a 7,5 miliardi. Quindi avrebbe un enorme vantaggio. Unicredit, che ha in portafoglio queste quote a 284 milioni e mezzo, arriverebbe invece a un miliardo e 100-un miliardo e mezzo. La Banca Marche pure, le sue quote varrebbero tra i 30 e i 50 milioni.
C’è qualcuno che deve invece svalutare?
Proprio così. Banche come Carige e Mps, che negli anni passati per fare un po’ di cosmesi ai loro bilanci avevano ritoccato le partecipazioni al rialzo, adesso devono svalutare. La quota di Carige, che è del 4%, è iscritta a 892 milioni, mentre con la nuova valutazione varrebbe tra i 201 e 280 milioni. Siena invece valuta il suo 4,3% fra gli 80 e 170 milioni in più. Anche all’interno della proprietà si creano quindi degli scompensi: le due maggiori banche trarrebbero enormi vantaggi, mentre gli altri avrebbero problemi come quelli che ho appena accennato. Tutto ciò nonostante il decreto Tremonti del 2005 (la legge 262/2005, ndr) che prevedeva il trasferimento di quelle quote al Tesoro o ad altro ente pubblico. Siamo andati avanti nonostante quella legge per salvare le grandi banche. E perché i cittadini e le imprese sono considerati i veri prestatori di ultima istanza, visto che non c’è una banca centrale che assolve a questa funzione. Non siamo come la Germania che ha 417 banche con capitale pubblico, noi non ne abbiamo neanche una. Sono quelle dei Land che guarda caso sono fuori dalla legge bancaria europea perché sono sotto il tetto dei 10 miliardi.
Che fine faranno le riserve auree?
Qui la questione si fa scottante. L’oro infatti non è della Banca d’Italia, ce lo ha ricordato l’allora governatore delle banca centrale europea Trichet, quando negli anni passati si paventò l’ipotesi di vendere le riserve auree per abbassare il debito. Trichet disse: ma siete sicuri che l’oro appartiene alla Banca d’Italia e non al popolo italiano? È la gestione dell’oro che è demandata alla Banca d’Italia come le stesse riserve valutarie. Se è del popolo italiano, prima di metterci le mani sopra bisogna pensarci su dieci volte e poi lasciarlo. Il problema tuttavia è che la Banca d’Italia, come soggetto demandato alla gestione, acquista valore per il fatto stesso che ha la possibilità di gestirlo. E parliamo della terza consistenza aurea del mondo. È un asset da 2mila 400 e rotte tonnellate di oro! Questa cosa non è stata sufficientemente chiarita. C’è poi un’altra cosa importante.
Quale?
Ci stiamo accorgendo che per far fronte alle criticità della moneta unica si sta procedendo sempre più con la creazione di blindature e meccanismi robotizzati. E non c’è più la possibilità, a posteriori, di una mediazione politica che è la certificazione della volontà popolare. Che si è espressa eleggendo una rappresentanza che è più titolata di uno strumento robotizzato a intervenire. Ci siamo accorti che la moneta unica è costruita e costituita per modificare l’economia a cui si rivolge e non è l’economia reale che supporta la moneta. In pratica, è la moneta che condiziona l’economia, è l’economia che si deve adeguare alla moneta, non è la moneta che si deve adeguare all’economia. Ma in tutto il mondo succede il contrario: è la moneta che si adegua, qui invece è l’economia che si deve adeguare alla rigidità della moneta. Una follia! L’aspetto più inquietante è proprio questo.
A cosa si riferisce esattamente?
Nei trattati europei non compare mai la parola democrazia. Noi invece vogliamo la democrazia, è una conquista la democrazia, è un bene non negoziabile, soprattutto è un bene irrinunciabile. Non possiamo mediare la democrazia. Ci sono meccanismi della democrazia che non possono essere bypassati. La costruzione europea invece sta tentando in tutte le maniere di mettere da parte questa possibilità. La democrazia è stata esautorata. Anche quello che abbiamo detto a proposito della Banca d’Italia rientra in questo discorso: sono tutti sistemi per blindare la costruzione monetaria. Mi domando: noi cittadini europei ne siamo coscienti?
Lei come risponde?
Inciampiamo nei cadaveri e siamo ancora legati alla regola del 3% nel rapporto deficit/Pil: cosa dobbiamo aspettare? L’euro non è solo una moneta, purtroppo è diventato un metodo di governo che stabilisce quello che dobbiamo o non dobbiamo fare. Per me non vale nessunissima configurazione di area valutaria trovarci nella condizione in cui la gente si uccide. Una sola persona che si suicida per ragioni economiche non vale tutta la costruzione dell’unione monetaria.