1. Premessa

L’esortazione apostolica di Papa Francesco, Evangelii Gaudium (EG), giunge in un momento di profonda prostrazione economica e sociale. Contiene spunti per reimpostare l’evangelizzazione, ma riporta anche proposte di natura più propriamente economica che probabilmente meritano un commento diverso da quello meramente teologico.



Attorno a un tema di fondo, ovvero il concetto di inequità, tre temi di economia positiva sono rintracciabili nel testo:

A) l’effetto della crescita e dello sviluppo sulla povertà, soprattutto quella estrema (n. 54);

B) l’accusa ai mercati e alla speculazione finanziaria d’essere tra le cause principali dell’inequità diffusa (nn. 55-56);



C) la funzione sociale della proprietà privata (nn. 203-205) e la rilevanza dell’inequità nello spiegare le forme di violenza e di lotta dei più deboli (nn 59, 191-192).

Il concetto di inequità cui l’esortazione sembra ispirarsi presuppone la deviazione della distribuzione delle risorse (reddito e/o ricchezza) da un principio ordinatore, e non necessariamente coincide con la mera diseguaglianza nella distribuzione, così come si è soliti trattarla nella scienza economica. Il principio ordinatore cui è necessario ispirarsi è quello del bene comune, in base al quale la distribuzione del reddito e/o della ricchezza è inequa quando è inappropriata, ovvero quando []:



I) i beni e il reddito sono stati guadagnati ingiustamente;

Ii) chi ne è sprovvisto li utilizzerebbe meglio di chi è l’attuale proprietario.

Interessante notare come in entrambi i casi, siamo in presenza di un fallimento del mercato che genera inefficienza allocativa, dunque, Papa Francesco sembra proprio indicarci come la situazione che oggi osserviamo e di cui facciamo esperienza sia una realtà distorta in quanto caratterizzata da una cattiva distribuzione delle risorse. Rimane, comunque, tutto da dimostrare che una deviazione dell’allocazione da un principio distributivo ispirato al bene comune risulti sempre e necessariamente in una situazione sub-ottimale.

Ciononostante, già questo leit motiv rende EG di particolare interesse in quanto parallela, se non ispirata, a un filone di studi invero fondamentale nel mainstream economico contemporaneo, ovvero a quello che guarda ai fallimenti dei mercati e delle istituzioni politiche come fonti primarie di sottosviluppo. Di seguito, dunque, si proporranno alcune riflessioni sui temi economici dell’EG a partire dall’evidenza empirica attualmente disponibile e dalla letteratura contemporanea.

2. Crescita, sviluppo e povertà

Papa Francesco dubita dell’esistenza di effetti di “ricaduta favorevole” legati a processi di crescita: “Alcuni ancora difendono le teorie della “ricaduta favorevole”, che presuppongono che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo” (n. 54). È, questa, un’affermazione che probabilmente non trova riscontro nell’evidenza empirica a oggi disponibile e puntualmente ripresa da Gapper []. EG, però, molto più probabilmente basa la sua esortazione sull’osservazione delle gravi inequità che caratterizzano tanto le economie avanzate, quanto quelle che ora si accingono a intraprendere un percorso di crescita [].

[1] Cfr. G. Manzone, Il mercato. Teorie economiche e dottrina sociale della Chiesa, Queriniana, Brescia, 2001.

[2] J. Gapper, Capitalism: in search of balance, Financial Times del 25 dicembre 2013.

[3] Cfr. L. Bruni, L’economia dell’esclusione (Evangelii Gaudium 53-60), Città Nuova, 12 dicembre 2013.

Rimane, poi, la questione di quanto l’ineguale distribuzione della ricchezza incida sul progresso variamente inteso. Su questo, EG può apparire (ma solo apparire) un po’ vecchia, datata negli impliciti riferimenti culturali. Così non è, soprattutto alla luce delle più moderne teorie economiche di stampo neo-istituzionalista. L’EG riporta un brano della conferenza dei vescovi brasiliani: “Desideriamo assumere, ogni giorno, le gioie e le speranze, le angosce e le tristezze del popolo brasiliano e le tristezze del popolo brasiliano, specialmente delle popolazioni delle periferie urbane e delle zone rurali – senza terra, senza tetto, senza pane, senza salute – violate nei loro diritti. Vedendo le loro miserie, ascoltando le loro grida e conoscendo la loro sofferenza, ci scandalizza il fatto di sapere che esiste cibo sufficiente per tutti e che la fame si deve alla cattiva distribuzione dei beni e del reddito. Il problema si aggrava con la pratica generalizzata dello spreco” (n. 191). È interessante notare come questa visione sia ampiamente suffragata da studi recenti di Acemoglu e Robinson sugli effetti deleteri dell’estrema diseguaglianza nella distribuzione della proprietà terriera [].

Ma perché la diseguaglianza è così deleteria per lo sviluppo in questa visione? In un discorso del 2012, Krueger [], professore di economia a Princeton e all’epoca consigliere di Obama, suggerì l’esistenza di una curva del Grande Gatsby, ovvero di una relazione positiva tra elasticità intergenerazionale del reddito e diseguaglianza nella distribuzione del reddito stesso. In altri termini, i paesi in cui il reddito personale è in buona parte ereditato dai propri genitori sono anche i Paesi con maggiori diseguaglianze sociali.

Nella figura seguente si riporta la curva del Grande Gatsby per un insieme di paesi industrializzati. Emerge come circa il 50% del reddito di un individuo inglese, americano o italiano dipenda dal reddito dei propri genitori, contro poco più del 30% di un tedesco. Uk, Usa e Italia sono, dunque, società molto diseguali, in cui i ricchi continuano a essere ricchi e i poveri hanno poche speranze di riscatto. Questa situazione blocca, dunque, parti consistenti della popolazione in situazioni di insoddisfazione economica, da cui è difficile fuggire.

 

Fonti per l’indicatore di persistenza del reddito: OECD: Corak, M. (2006), “Do Poor Children Become Poor Adults? Lessons from a Cross Country Comparison of Generational Earnings Mobility”, IZA Discussion Paper n. 1993. Spagna: Hugalde Sánchez, A. (2004), “Movilidad intergeneracional de ingresos y educativa en España (1980-90)”, working paper n. 2004/1, Institut d’Economia de Barcelona, Centre de Recerca en Federalismo Fiscal i Economia Regional. Australia: Leigh, A. (2006), “Intergenerational Mobility in Australia”, manuscript, Social Policy Evaluation, Analysis and Research Centre, Research School of Social Sciences, Australian National University; Italia: Piraino, P. (2006), “Comparable Estimates of Intergenerational Income Mobility in Italy” Working Paper n. 471, Department of Economics University of Siena.

 

[4] Cfr. D. Acemoglu e J. Robinson, “Economic Backwardness in Political Perspective”, American Political Science Review, 100:115-131, 2006; JM Baland e J. Robinson, “Land and Power : Theory and application to Chile”, American Economic Review, 98:1737-1765, 2008.

[5] A. Krueger, The Rise and Consequences of Inequality in the United States, discorso del 12 gennaio 2012.

3. Struttura dei mercati e speculazione finanziaria

Si è richiamato in premessa come una distribuzione delle risorse sia inaccettabile secondo la Dottrina Sociale della Chiesa quando questa devi da un principio di bene comune e di carità, ovvero quando vi sia una sostanziale inefficienza allocativa derivante da fallimenti del mercato. La Dottrina Sociale della Chiesa tutela anche chi vorrebbe la proprietà e non solo l’attuale proprietario di un bene []. Ebbene, la distanza tra queste due categorie è tanto più ampia quanto maggiori sono le inefficienze del mercato del credito in termini di razionamento, ovvero di esclusione dal credito di alcune categorie.

Papa Francesco si scaglia, dunque, giustamente contro i mercati finanziari deregolamentati, sebbene al lettore sfugga l’importanza fondamentale che queste istituzioni svolgono. La cosiddetta “cattiva finanza” è quella che non garantisce i fondi necessari alle buone imprese, ma premia in maggiore misura imprese e individui già ricchi in quanto ritenuti più affidabili. Questa finanza, cui spesso ci troviamo innanzi, è quella che garantisce il persistere di una ineguale distribuzione del reddito.

Il tema della struttura dei mercati viene affrontato direttamente, criticando la cieca fiducia nella perfezione di questi costrutti umani, tanto da scrivere di “ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria” (n. 56). Anche qui, la visione proposta in EG non è in netto contrasto con buona parte della teoria economica [].

La Dottrina Sociale della Chiesa stabilisce un principio di etica economica nel concetto di bene comune, vicino, ma non coincidente, con il concetto di benessere sociale. Non coincidente poiché in bene comune è insito un criterio di equa distribuzione del benessere [], mentre il concetto di benessere sociale prescinde da questioni distributive. Se i mercati funzionassero perfettamente nella realtà, il benessere sarebbe massimo e tale sarebbe, probabilmente, anche il bene comune. Papa Francesco, criticando i mercati deregolamentati, ci ricorda della inefficienza reale di questi e ci esorta a definire principi ordinatori per ragionare in un’ottica di second best.

 

[6] Cfr. Manzone, op. cit.

[7] Cfr. O. Galor, Inequality and the process of development, Brown University, mimeo.

[8] J. Maritain, La persona e il bene comune, Morcelliana, Brescia, 1963.

4. Inequità e conflitti

EG riporta in maniera molto chiara e netta la relazione tra diseguaglianze e conflitti: “Fino a quando non si eliminano l’esclusione e l’inequità nella società e tra i diversi popoli sarà impossibile sradicare la violenza. Si accusano della violenza i poveri e le popolazioni più povere, ma, senza uguaglianza di opportunità, le diverse forme di aggressione e di guerra troveranno un terreno fertile che prima o poi provocherà l’esplosione.” (n. 59).

Numerosi sono gli studiosi che ritengono esista una relazione fra diseguaglianza e conflitti. I già richiamati Acemoglu e Robinson ritengono che in situazioni caratterizzate da elevatissima diseguaglianza nella distribuzione degli asset, i ricchi potrebbero essere più propensi a impiegare risorse per reprimere eventuali moti di rivolta, che fungano da deterrente per future rivolte e quindi, in questo caso, comunità con una più elevata diseguaglianza manifesterebbero, paradossalmente, una minore propensione alla sommossa.

Ma la letteratura sulle rivolte agrarie degli anni ’60 e ’70, ritiene, invece, che il meccanismo attraverso cui la diseguaglianza porta allo scoppio di un conflitto sia, non tanto la possibilità di guadagni privati, bensì la frustrazione e lo scontento o la destabilizzazione del tradizionale sistema sociale. A questo filone si collega la letteratura sull’ipotesi della cosiddetta land maldistribution, la quale identifica nel malcontento derivante da condizioni di vita disagiate il motore catalizzatore delle rivolte. Quando la proprietà è distribuita in maniera diseguale e i contadini vivono in condizioni di povertà e sofferenza, ai limiti della sussistenza, la probabilità che si verifichi una rivolta aumenta notevolmente e la rivolta diventa quasi inevitabile.

 

5. Qualche riflessione conclusiva

Che un religioso in generale e un Papa cattolico in particolare parlino di equità nella distribuzione del reddito e della ricchezza può non essere un elemento di novità. Da un punto di visto teologico e di Dottrina Sociale della Chiesa, già Giovanni Papa II e Benedetto XVI lo avevano fatto nelle encicliche più recenti, ma ripercorrendo il solco già tracciato da Leone XIII.

Il novum di EG è, però, rintracciabile in almeno due punti:

A) il tono e la perentorietà di alcune affermazioni che hanno indotto alcuni commentatori notoriamente attenti a scivolare in considerazioni affrettate [];

B) la modernità delle visioni socio-economiche che, forse non del tutto consapevolmente, attinge a un crescente e centrale corpus teorico ed empirico della scienza economica che riconosce la ineluttabilità dell’imperfezione dei mercati e delle istituzioni e cerca soluzioni a questo dato di fatto.

Va, però, sottolineato come probabilmente manchi la percezione in EG che tutti gli elementi richiamati possano essere elementi di un sistema (o una visione) più vasto, complesso e completo che vada a consolidare, ridefinire e completare la visione della Chiesa sull’economia di mercato.

 

[9] Cfr. G. Makiw, The Pope’s Rhetoric, post sul suo blog del 30 novembre 2013.

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