«Uscire oggi dall’euro è un problema molto serio che richiede un’intensa azione diplomatica preparatoria per nuove alleanze, come lo richiede la messa a punto dei modi per restarci. Questi non possono essere l’aumento disordinato della pressione fiscale, alimentato dalla filosofia redistributiva dei redditi e della ricchezza dai presunti ricchi agli effettivi poveri che contraddistingue l’attuale “svolta dei quarantenni”. Se essi non provvedono a due interventi urgenti, la ristrutturazione del debito pubblico con garanzia di cessione del patrimonio dello Stato e il taglio di almeno il 3% della spesa pubblica, per acquistare tempo e procedere a una riforma radicale che richiede tempi lunghi, quella della Pubblica amministrazione, non usciremo dalla crisi, anzi ci addentreremo in essa. Lo Stato assorbe la metà del Pil ed è l’unico settore che si è espanso nel corso della crisi, mentre tutti gli altri si sono ridimensionati. Se poi i quarantenni mettono mano, sorretti dai fautori della crisi attuale, a una maggiore patrimoniale rispetto a quella che è già stata decisa, allora l’uscita dall’euro verrà causata da chi prenderà questa decisione. Einaudi non esiterebbe a chiamarli scriteriati».



Su MF-Milano Finanza di sabato 28 dicembre 2013 è stato pubblicato un articolo di Paolo Savona, professore emerito di politica economica, da cui ho estratto questo corpo centrale. Il quotidiano finanziario ha deciso di trasformare quell’articolo in una sorta di manifesto per il governo attuale, una guida per uscire dai marosi della crisi e riuscire a ripartire. Mi pare un qualcosa degno di nota, più che altro perché pone tre seri problemi e tre clamorose novità. Primo, si parla chiaramente di ristrutturazione del debito pubblico con garanzia di cessione del patrimonio dello Stato. Secondo, un quotidiano che certo non può essere ritenuto estremista – e che si occupa di economia e finanza – fa sua questa tesi. Terzo, si prospetta chiaramente il rischio di una patrimoniale, ovvero quella repressione finanziaria di cui vi sto parlando in questi giorni.



Paolo Savona e le sue tesi sono state ospitate anche sulle pagine de ilsussidiario.net e sono sempre state connotate da grande lucidità, in un panorama di false speranze e ancor più false prospettive di uscita dalla crisi. Io penso che siamo giunti a una svolta: come scrivevo la scorsa settimana, paesi ad alto tasso di indebitamento come l’Italia hanno superato il punto di non ritorno della ratio debito/Pil, siamo all’insostenibilità assoluta dei costi del servizio di quel debito e quindi dovremo ristrutturarlo. Ma come e chi gestirà quel processo? L’attuale governo o quello che Matteo Renzi vuol far nascere già in primavera, accorpando politiche ed europee?



L’attacco a Stefano Fassina, con conseguenti dimissioni del vice-ministro dell’Economia, è un segnale molto chiaro che Enrico Letta farebbe bene a non ignorare: si sta giocando una partita tutta politica sulla pelle del Paese e dei suoi cittadini, i quali stanno già pagando – insieme alle imprese, che muoiono come mosche – il conto salato al credit crunch che va avanti dal 2011. Spacciare la discesa dello spread come la panacea di molti, se non tutti, i mali è forse un modo serio di intervenire? Direi di no, il problema è che ristrutturare il debito significa rivedere scadenze e coupon, significa la via greca senza l’emergenzialità ellenica: ma a chi è in mano il nostro debito pubblico? Alle nostre banche, solo il 30% è in mano a investitori internazionali.

Questo è il nodo: con chi andiamo a trattare la ristrutturazione? E chi gestirà questa operazione? L’addio di Fassina è un chiaro segnale al ministro Saccomanni, prima che a Letta: una sconfessione del suo operato travestita da reazione scomposta alla battuta da bulletto di quartiere del sopravvalutato sindaco di Firenze, uno che ha scoperto il blairismo con quindici anni di ritardo e senza contemplarne i limiti di azione politica? Penso di sì. C’è da stare molto attenti a quanto sta per accadere: i fronti di pericolo, infatti, sono molti. C’è il “taper” della Fed che rischia di destabilizzare i mercati emergenti e mandare in subbuglio i tassi di interesse globali, c’è la crisi interna all’eurozona (al di là degli spread, la situazione macro di molti Stati è nota a tutti), c’è un fermento tutto interno alla scena politica italiana che potrebbe scatenare appetiti speculativi.

C’è la rivalutazione delle quote di Bankitalia, poi, che di fatto garantisce alle banche – proprietarie vere di Palazzo Koch – il controllo delle riserve auree italiane, le quarte al mondo per grandezza. E se si arrivasse a mettere sul piatto quelle 2500 tonnellate di oro per abbattere un po’ lo stock di debito? Ma, poi, ci sono davvero ancora tutte quelle tonnellate oppure si è già cominciato a vendere? In camera caritatis, un funzionario del ministero dell’Economia mi ha detto chiaro e tondo che ci sono stati momenti, negli ultimi tre anni, in cui erano davvero a rischio i pagamenti di pensioni e stipendi: come si sono trovati quei soldi? Come ha continuato ad andare avanti la disgraziata Italia?

Un’uscita come quella del professor Savona, sposata con quell’entusiasmo da un quotidiano comeMF, mi ha fatto pensare e mi ha convinto che il nostro Paese sia di fatto già fallito tempo fa: abbiamo solo ottenuto tempo per gestire questo processo, ma ora stiamo arrivando al redde rationem, tocca dirlo chiaro e tondo ai cittadini e pagare il prezzo. Chi governerà questo momento, pari per importanza al secondo dopoguerra e con quale agenda? Siete sicuri che vi abbiamo raccontato le cose per come sono in questi anni? Sapete che esistono ben 7,4 milioni di lavoratori tedeschi che percepiscono uno stipendio di 450 euro al mese: ufficialmente si tratta di lavoratori “part-time”, ma spesso e volentieri questi lavoratori raggiungono tranquillamente le 40 ore settimanali di lavoro. Il risultato è un aumento esponenziale delle persone che rasentano la soglia delle povertà: 20%, con un 24,1% di lavoratori a basso salario. Sintomatico che questa percentuale sia di poco inferiore a quella di paesi in netta recessione, mentre la Germania, è bene ricordarlo, è tutt’ora in fase di crescita del Pil, peccato che questa dinamica sia garantita unicamente dall’export, in costante crescita, grazie al rapporto di cambio favorevole gestito durante la fase di definizione dell’euro.

E sapete che in Germania sono 1,5 milioni le persone che per mangiare si rivolgono alle mense dei poveri, un aumento esponenziale che sta facendo collassare i bilanci delle Onlus, molte delle quali non riescono più a dare il cibo gratis e devono farlo pagare, seppur a prezzi ridottissimi? Il 2012 è stato un anno particolarmente difficile: il 28 ottobre scorso l’Ufficio federale di statistica ha fatto sapere che il numero degli aventi diritto al reddito minimo garantito dal programma Sozialhilfe sono aumentati del 3,3% nel 2012 rispetto al 2011, passando da 332mila a 343mila. E a stare peggio è anche il ceto medio: secondo uno studio della fondazione Bertelsmann Stiftung, se nel 1997 circa il 65% dei cittadini tedeschi poteva considerarsi parte della middle class, la percentuale è scesa al 58% nel 2012. Cinque milioni in meno in 15 anni. E sto parlando della locomotiva Germania, non della Grecia.

Prepariamoci, il momento della grande tosatura è arrivato. Ci sarà repressione finanziaria – prelievi forzosi e patrimoniali -, ci saranno bail-in bancari, ci sarà una ristrutturazione del debito che però temo non sarà quella prospettata dal professor Savona. Ho una certezza: l’Italia è fallita nel 2011, la lettera della Bce era soltanto un pro forma: ci hanno dato tempo perché se saltava Roma, la Francia e le sue banche venivano giù un secondo dopo e l’Ue esplodeva. Ora, però, è giunto il momento: oro, patrimonio pubblico, privatizzazioni. Sono molti i modi con i quali potremo pagare il conto, la certezza è una sola: le deroghe per l’Italia sono finite.

L’ascesa di Matteo Renzi e della sua allegra brigata di quarantenni non è stata casuale. Così come non lo è stata la sua visita ad Angela Merkel, quando ancora era soltanto un candidato alle primarie. A mio avviso, le dimissioni di Stefano Fassina sono l’evento politico più importante dell’ultimo anno, altro che decadenza del Cavaliere. E sono un punto di svolta: attenti a sottovalutarle.