Devo dire che mi sento meno solo da ieri. Già, perché anche qualcun’altro, qualcuno con un peso specifico un po’ maggiore del mio, ha sentito il bisogno di smentire la visione eccessivamente ottimistica, quando non irreale, che il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, ha del Paese e del suo stato di salute dal punto di vista economico. Ieri è stata Confcommercio a smentire il ministro, il quale il giorno della Befana aveva previsto per quest’anno una diminuzione della tasse. Non è affatto così: nel 2013 la pressione fiscale è salita al 44,3%, toccando un nuovo livello record, e nel 2014 resterà ben oltre il 44%, lasciando la riduzione delle tasse solo un’illusione. Come si può pensare che con una pressione fiscale simile, cui va a sommarsi il cuneo che grava sul costo del lavoro, si possa agganciare la ripresa – la quale, tra l’altro, è vista solo dai politici – rimane un interrogativo assoluto.



Per Confcommercio, è «uno scenario che, per riavviare il processo di crescita, richiede più coraggio e più incisività nei tagli alla spesa pubblica e, soprattutto, politiche fiscali dal lato dell’offerta, a cominciare da un’incisiva riduzione degli oneri fiscali che gravano sui fattori produttivi, primo fra tutti il lavoro». Ma guarda un po’ che coincidenza di vedute. E ancora: «Non spostare o rimodulare, ma ridurre, semplicemente ridurre in modo certo, progressivo e sostenibile la pressione fiscale è l’esigenza fondamentale di lavoratori, imprese, pensionati. È il solo modo, questo, per rilanciare le forze produttive vitali, ben presenti nel nostro Paese». per Saccomanni, invece, «nel prossimo triennio le tasse si ridurranno di ben 9 miliardi, con un calo graduale anno per anno. È un impegno che ho preso, con l’Europa e con gli italiani, e che oggi rilancio».



E dove troverà le risorse? «Si troveranno dalla spending review e dal provvedimento sul rientro dei capitali, che vareremo all’inizio di febbraio». Non solo, le misure saranno finanziate anche dal recupero dell’evasione fiscale, che quest’anno sarà intensificata. Ovvero, la stessa ricetta che sentiamo da almeno il 2010 e che ha portato risultati pari a zero: la spending review non ha tagliato nulla, tantomeno la spesa improduttiva, la lotta all’evasione fiscale porta qualcosa ma certamente meno del danno che le tasse non pagate fanno all’economia – vista l’utilità dei blitz stile Cervinia, che hanno solo allontanato facoltosi turisti stranieri verso la Svizzera o l’Austria – e il rientro dei capitali, di fatto un condono, abbiamo visto quanto abbia inciso quando fu varato dal governo Berlusconi. Non per altro, perché per rientrare io che ho i soldi all’estero voglio garanzie e un bello sconto vantaggioso, altrimenti restano in Lussemburgo e tanti saluti. È la prassi, non ci vuole uno scienziato.



Tornando alla pressione fiscale rilevata da Confcommercio nel 2013, il prelievo sottoforma di imposte e contributi previdenziali è aumentato di circa 1,6 miliardi di euro rispetto al 2012 e, nello stesso arco di tempo, il Pil nominale ha subito una flessione di oltre 8,7 miliardi. Di conseguenza, il rapporto aritmetico che esprime la pressione fiscale è salito al 44,3%, tre decimi di punto in più rispetto al livello del 44% circa raggiunto l’anno prima. E infine: «La previsione governativa della pressione fiscale nel 2014 al 44,2% è compatibile con una crescita del Pil reale dell’1%, un tasso di variazione che nelle attuali condizioni economiche del Paese non sarà facile raggiungere». E qui Confcommercio pecca dello stesso peccato di Saccomanni: non è che sarà non facile raggiungere quel risultato, sarà impossibile. Perché? Perché come vi dico e vi ripeto da giorni, siamo alla fine della pantomima. E ieri ne abbiamo avuto l’ennesima riprova.

A dicembre è infatti ripresa la decelerazione dell’inflazione nell’Eurozona. Nell’ultimo mese del 2013 il tasso di crescita annuo dei prezzi al consumo si è attestato allo 0,8%, un valore in linea con le attese degli economisti, ma in calo dal +0,9% registrato a novembre (+0,7% a ottobre). Secondo Eurostat, tra i vari comparti di spesa il rialzo più netto ha riguardato alimentari, alcolici e tabacchi, che oltre alla volatilità hanno risentito anche di varie imposte e che a dicembre hanno segnato un +1,8% su base annua dal +1,6% di novembre. I prezzi dei servizi hanno invece registrato un +1%, in rallentamento dal +1,4% del mese precedente. Sui beni industriali non energetici l’ente di statistica ha stimato un +0,2%, la stessa dinamica di novembre, mentre sull’energia una variazione annua nulla, a fronte del -1,1% registrato a novembre.

Il dato dell’inflazione si aggiunge a quello dei prezzi alla produzione industriale, sempre in Europa, che a novembre sono scesi dello 0,1% nell’Eurozona e nell’Ue a 28 paesi rispetto a un calo dello 0,5% in ottobre. Che farà ora la Bce? No, perché se non l’avete capito questa è la strada lastricata verso la deflazione, il peggio che possa accaderci. La Banca centrale, che lo scorso novembre proprio in riposta alla debolezza dell’inflazione e dei consumi ha tagliato i tassi di riferimento dell’area euro al nuovo minimo storico dello 0,25%, si riunisce domani e dovrà prendere una decisione di quelle serie questa volta, non le solite minacce. L’obiettivo ufficiale dell’Eurotower è infatti avere un’inflazione inferiore ma comunque vicina al 2% annuo sulla media di 18 mesi circa: occorre agire, in un senso o nell’altro ma con chiarezza. Tanto più che in contemporanea alla riunione del board Bce per decidere sulla politica monetaria, si riunirà anche quello della Bank of England, mentre stasera avverrà la pubblicazione dei verbali del Fomc della Fed, dai quali si capirà un po’ di più del “taper” e che quindi potrebbero direzionare non poco i tassi d’interesse globali.

«Alcune manovre non convenzionali potrebbero essere decise dall’Istituto di Francoforte», ha spiegato un forex strategist all’agenzia DowJones. Anche perché, come già vi ho detto, la Francia sta arrancando. Se infatti gli indici PMI di Germania, Irlanda e Spagna sono saliti sopra quota 50 punti, quello francese ha visto un’accelerazione del trend negativo in dicembre, con servizi e manifattura ai minimi da sette mesi. Per Howard Archer, capo economista alla IHS Global Insight, «il dato dell’inflazione potrebbe costringere la Bce a prendere ulteriori decisioni. Il calo nel mese di dicembre è particolarmente serio, perché riporta il tasso al livello di quando la Banca centrale decise di tagliare i tassi. Certo, per l’Eurotower la deflazione rimane un rischio non ritenuto serio, ma i prezzi al consumo oltre un punto percentuale sotto il target prefissato, invece, lo sono».

Insomma, tocca agire. E Draghi lo farà, la conferma a mio avviso si è avuto ieri con la domanda record per i bond decennali irlandesi dopo l’uscita del Paese dal programma di salvataggio, che ha visto i tassi al livello più basso da quando Dublino è tornata sul mercato obbligazionario internazionale lo scorso marzo: 3,22% all’asta dal 3,32% di apertura delle contrattazioni e con una domanda che ha ecceduto il controvalore di 9 miliardi di euro. Per Ryan McGrath, bond dealer all’irlandese Cantor Fitzgerald, «questo risultato farà bene alle prossime emissioni delle altre nazioni periferiche dell’Ue».

Se la Bce agisce, ci sarà ancora un po’ di tempo, ma non facciamoci troppe illusioni, il futuro italiano sarà da lacrime e sangue. Non lo dico io, lo ha detto il direttore generale della Bce, il tedesco Asmussen, all’edizione tedesca del Wall Street Journal il 25 ottobre 2013, prima di sapere che il suo futuro sarebbe stato quello di vice-ministro nella nuova Grosse Koalition tedesca. Ecco le sue parole: «L’Italia è troppo grande per essere salvata dall’esterno, ma l’Italia è strategica per l’Europa». Quindi? L’unica soluzione possibile è salvarsi con risorse da trovare al proprio interno, ovvero una drammatica riduzione del debito e repressione finanziaria. 

 

P.S.: L’asta irlandese non vi pare un indizio sufficiente per essere certi che la Bce darà vita a una nuova asta di rifinanziamento o, nel caso, ad acquisti obbligazionari senza sterilizzazione? Guardate qui: è il rendimento toccato ieri dal bond a 2 anni italiano, lo 0,996%, il minimo di tutti i tempi, sotto quota 1%. Ma siamo sempre l’Italia della disoccupazione al 12,3%, della domanda azzerata, del potere d’acquisto falcidiato, delle piccole e medie imprese che muoiono come mosche, delle tasse stratosferiche, delle banche stracariche di titoli di Stato e di sofferenze. Come si spiega questa miracolo, secondo voi?