Nell’ambito dell’Eurozona, i paesi con surplus commerciali ampi e persistenti devono agire per stimolare lo sviluppo della domanda interna e ridurre i loro surplus. La Germania ha mantenuto un ampio surplus di conto corrente durante tutta la crisi finanziaria dell’area dell’euro e nel 2012 il suo surplus nominale di conto corrente era maggiore di quello della Cina. Di più, il ritmo anemico di sviluppo della domanda interna della Germania e la sua dipendenza dalle esportazioni hanno impedito il riequilibrio in un momento in cui molti altri paesi dell’Eurozona sono stati sotto una severa pressione per tagliare la domanda e comprimere le importazioni allo scopo di promuovere un aggiustamento: e qual è stato il risultato netto di questa politica? Una tendenza deflazionistica per l’area dell’euro come pure per l’economia globale.
Molto del declino degli squilibri globali di conto corrente che si sono verificati in anni recenti riflette una contrazione della domanda nei paesi in deficit piuttosto che un forte sviluppo della domanda interna nei paesi con un surplus di conto corrente: la Germania, in particolare, ha continuato a registrare un surplus molto ampio e persistente, facendo aumentare il conto corrente dell’eurozona, che nel 2009-2011 era vicino all’equilibrio, a un surplus del 2,3% del Pil nella prima metà del 2013. Il surplus di conto corrente della Germania saliva oltre il 7% nella prima metà del 2013, mentre il surplus di conto corrente dell’Olanda era di quasi il 10%, mentre Irlanda, Italia, Portogallo e Spagna sono ora tutti in surplus di conto corrente a causa del declino della domanda di importazioni. Pertanto il peso dell’aggiustamento è caduto in maniera sproporzionata nei paesi della periferia europea, esacerbandone la disoccupazione estremamente elevata, soprattutto fra i giovani, mentre l’aggiustamento complessivo dell’Europa è basato sulla domanda che proviene da fuori anziché dalla risoluzione della mancanza di domanda esistente all’interno dell’Europa.
Insomma, i paesi debitori sono stati forzati ad adottare misure di austerità, mentre i surplus tedeschi hanno contribuito a tenere depressa l’economia mondiale. E il risultato lo abbiamo sotto gli occhi tutti noi, guardando le realtà dei dati macro e delle economie reali: in compenso, Berlino ha ottenuto ciò che voleva, come ci dimostra il grafico a fondo pagina, ovvero la giapponesizzazione dell’Europa, con il suo bond a 5 anni che prezza il rendimento identico a quello del pari durata nipponico, garantendosi di fatto finanziamento sul mercato a costo zero e ruolo egemone tra i cosiddetti beni rifugio.
Peccato che sembra che la festa stia finendo anche per i simpatici teutonici. I principali istituti di statistica della Germania hanno infatti rivisto consistentemente al ribasso le previsioni congiunte sulla crescita del Paese a causa della debolezza della domanda interna ed estera e della fragilità dell’Eurozona: per quest’anno ora stimano un +1,3% del Pil e per il prossimo anno una lieve decelerazione al +1,2%, a fronte di previsioni precedenti che avevano indicato tassi di crescita rispettivamente dell’1,9% e del 2%.
L’economia tedesca ha avuto un robusto inizio di anno, ma è andata in territorio negativo dello 0,2% nel secondo trimestre, tanto che alcuni economisti non hanno escluso che la Germania finisca in recessione tecnica nel terzo trimestre, cioè conosca due trimestri consecutivi di contrazione. «Dopo il rallentamento dell’attività economica nel secondo trimestre e la probabile stagnazione del terzo trimestre dell’anno, l’economia si è ripresa a fatica», hanno evidenziato l’Ifo Institute di Monaco di Baviera, il Rwi di Essen, il Diw di Berlino e l’Istituto per la ricerca economica di Halle, invitando il governo tedesco a migliorare le condizioni d’investimento e i fattori di crescita.
Ed ecco il campanello d’allarme, proprio legato alla questione del surplus: «È giunto il momento di investire», hanno affermato in una nota congiunta. Il tutto mentre giovedì i dati sul commercio con l’estero diffusi da Destatis, l’agenzia di statistica federale, hanno evidenziato una caduta mensile delle esportazioni del 5,8% ad agosto (erano cresciute del 4,8% mese su mese a luglio), il calo maggiore dal gennaio del 2009. Il surplus commerciale della Germania, dunque, si è attestato a 17,5 miliardi (destagionalizzato) in calo dai 22,2 miliardi di euro del mese di luglio mentre il surplus delle partite correnti ad agosto è sceso a 10,3 miliardi di euro dai 20,1 in luglio, a causa soprattutto di un decremento del settore servizi: nell’agosto 2013 l’avanzo era di 7,9 miliardi.
La situazione dell’economia tedesca, dopo il taglio delle stime di crescita anche da parte del Fondo monetario internazionale, appare quindi sempre più preoccupante, tanto che gli economisti di Ifo (Monaco), Rwi (Essen), Diw (Berlino) e l’Istituto per la ricerca economica (Halle) hanno invitato, come detto poco fa, il governo di Angela Merkel a stimolare la crescita aumentando gli investimenti in infrastrutture e hanno inoltre segnalato l’effetto negativo sull’outlook economico che in Germania avrà l’applicazione del salario minimo, un provvedimento che invece, a detta di Angela Merkel, stimolerà la domanda interna, quantificando in 9 miliardi di euro il suo effetto.
Alla luce di tutto questo, cari lettori, non posso che ripetere quanto dicevo due settimane fa: via subito da questa Europa, senza alcuna esitazione.
(2- fine)
P.S.: Per la serie, stampare moneta è la soluzione a tutti i mali, ecco che il Giappone è appena entrato nella sua quarta fase recessiva dal 2008 a oggi, come ci mostra questo grafico. È valsa proprio la pena che le banche centrali abbiano speso 11 trilioni di dollari per attivare la ripresa…