“Nella Legge di stabilità tagliamo 18 miliardi di tasse”. Lo ha detto il presidente del consiglio, Matteo Renzi intervenendo all’assemblea di Confindustria a Bergamo, dove ha poi aggiunto: “La manovra nel suo complesso varrà 30 miliardi di euro, senza un centesimo di aumento delle tasse”. Per il premier si farà “una spending review da 16 miliardi di euro: non l’aveva mai fatta nessuno”. Ne abbiamo parlato con Gustavo Piga, professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma.
Partiamo dalla dichiarazione di Renzi. Un taglio delle tasse da 18 miliardi è davvero fattibile?
Come precisa la nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza, l’eccedenza delle entrate finali sul Pil passa dal 48,3% del 2014 al 48,7% nel 2016. Un’analoga variazione è attesa per la pressione fiscale che passa dal 43,3% nel 2014 al 43,6% nel 2016. Quindi lasciamo perdere le riduzioni di tasse che, come dice il governo, poi sono compensate da aumenti di altre tasse. Si possono tagliare 18 miliardi di tasse, ma poi ci saranno 18 miliardi in più da qualche altra parte. La pressione fiscale quindi sale, come pure le entrate sul Pil.
Renzi potrebbe derogare rispetto al Def?
Renzi non può derogare dal Def, anche perché 18 miliardi di euro rappresentano un punto percentuale di Pil. Da un lato quindi ci sono delle diminuzioni di tasse e dall’altra degli aumenti. La politica del resto ha sempre vissuto su dichiarazioni sull’aumento delle tasse cui poi non ha dato seguito, e quindi in quanto afferma Renzi non c’è nulla di nuovo.
Quali effetti avrà sull’economia la spending review inserita nella legge di stabilità per il 2015?
Premetto che occorre attendere il documento finale della legge di stabilità, e nel frattempo dare credito al governo. Per il momento mi limito a prendere atto con soddisfazione che si è preferito fare un danno “minore”. Sarebbe stato drammatico se il governo avesse confermato i tagli di spesa previsti all’epoca di Cottarelli senza aver fatto la spending review. Il premier ha capito che se avesse attuato tagli a casaccio alla spesa pubblica per 20 miliardi, l’intero Paese sarebbe precipitato nel caos.
Perché ritiene che confermare i tagli alla spesa di Cottarelli avrebbe provocato solo danni?
Il motivo è che non si è investito in una banca dati in tempo reale per gli appalti, che occupano il 30% della spesa pubblica e il 15% del Pil italiano, nascondendo al loro interno 32 miliardi di sprechi che non possono essere identificati senza avere a disposizione numeri precisi. Non si è mandato avanti il processo di razionalizzazione degli appalti, riorganizzandoli con un minor numero di stazioni appaltanti attorno a competenza e remunerazione dei dirigenti come avviene in tutti i Paesi del mondo. Poiché non si è fatto tutto questo, accolgo in modo favorevole la decisione di questo governo di risparmiarci dei tagli lineari che avrebbero solo peggiorato la situazione.
I tagli previsti nella legge di stabilità rimangono comunque lineari o sono effettivi tagli agli sprechi?
La mia impressione è che i tagli saranno comunque lineari. Non rassicura affatto che nell’aggiornamento al Def ci sia una nota alla tabella programmatica in cui si introduce la clausola di salvaguardia relativa all’aumento dell’Iva. In questo modo si indica che forse non si introdurranno i tagli di spesa nemmeno l’anno prossimo.
Secondo lei che cosa si doveva fare?
Ricercatori americani in un articolo recente hanno messo in evidenza che i danni di politiche di austerità durante una fase di recessione sono drammaticamente più alti di quanto abbiamo stimato finora. Tagli lineari si ripercuotono immediatamente sul Pil. Per esempio tagliare la spesa pubblica per 4 miliardi provoca una perdita di Pil da 8 miliardi, pari cioè all’0,5%.
Come si doveva intervenire quindi?
Il Fmi il 9 ottobre scorso ha dichiarato che l’unico modo per ravvivare la domanda è attraverso maggiori investimenti pubblici. Nella legge di stabilità non si parla però di maggiori investimenti pubblici, e ci si limita a ribadire la testarda convinzione che i soldi debbano essere utilizzati principalmente per il bonus da 80 euro e l’abbattimento della contribuzione per le imprese. Misure inutili, in quanto da un lato le imprese non vogliono assumere perché non c’è domanda, e dall’altra le famiglie non spendono e quindi gli 80 euro in busta paga non serviranno a nulla. Anche perché il bonus sarà compensato da altre tasse, e quindi la pressione fiscale rimarrà costante.
Insomma la legge di stabilità, anziché creare crescita, si limita a ritoccare qualche cifra di bilancio?
Esattamente. Anziché invertire la rotta rispetto all’austerità, il Def si limita a dire che se i tagli attuati nel 2015 non saranno sufficienti, nel 2016, 2017 e 2018 il rapporto deficit/Pil sarà abbattuto dell’1% l’anno senza crescita. Ciò ovviamente avverrebbe aumentando le tasse e con nuovi tagli lineari alla spesa. A queste condizioni non c’è quindi alcuna prospettiva per rilanciare gli investimenti delle imprese. E’ una politica totalmente disastrosa, anche se poteva andarci ancora peggio.
(Pietro Vernizzi)