“Molti pensano che la situazione italiana sia il risultato di qualcosa che ha combinato Angela Merkel, o l’Unione europea, o Lehman Brothers. L’ho sentito anche a Napoli, in un convegno. E questo è ridicolo. Chi ha creato il debito pubblico italiano? La signora Merkel?”. Sono le parole di Josè Manuel Barroso, presidente uscente della Commissione europea. Proprio mentre altri paesi stanno agganciando la ripresa, con la disoccupazione nel Regno unito che ha raggiunto il 6%, il valore più basso dal 2008, l’Italia continua ad arrancare. Come risulta dai dati Istat, nel secondo trimestre 2014 il Pil è diminuito dello 0,2% rispetto al trimestre precedente e dello 0,3% rispetto al secondo trimestre 2013. Numeri che parlano fin troppo chiaro, come mette in rilievo Claudio Borghi Aquilini, docente di Economia degli intermediari finanziari all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.



È vero che la crisi economica ha più a che fare con il debito pubblico che con altri fattori?

Mettendo la croce sul debito pubblico dell’Italia, Barroso dichiara la sua malafede. La lista dei paesi che sono andati in crisi dopo il 2008 avevano situazioni di indebitamento pubblico tra le più disparate. Come affermano tutti i rappresentanti delle massime istituzioni economiche, la crisi non è certo stata innescata da un livello particolarmente alto di debito pubblico in qualche Paese. Barroso ci sta prendendo in giro, come ha fatto per tutto il suo mandato. La crisi del debito si è originata perché non è stato garantito il debito pubblico della Grecia. A quel punto tutti i Paesi Ue sono diventati a rischio, anche se non certamente in una sequenza legata alle dimensioni del debito stesso.



Possibile che tutte le colpe siano di Angela Merkel?

No, e su questo Barroso dice una cosa corretta. Il fatto che la Merkel persegua i suoi interessi non sana la colpa di chi questi interessi stranieri li pone in atto in casa propria. Barroso ha ragione a sottolineare che certe decisioni non piovono dal cielo, ma arrivano perché i ministri delle finanze alla fine trovano un accordo su determinate cose. Anche la decisione europea più assurda, per essere recepita dal nostro ordinamento nazionale e tradursi in proposte di legge, necessita di una decisione del Governo.

Quali margini di libertà hanno i governi nazionali nell’Eurozona?



In effetti, ogni volta che si è tentato di mettere in atto delle decisioni autonome da parte dei governi rispetto ai desiderata dell’Europa si sono sempre verificate delle forzature inaccettabili. Il premier greco George Papandreou è stato fatto cadere per il fatto di avere proposto un referendum sull’euro. Resta il fatto che alla fine le decisioni dell’Europa sono sempre state ratificate da governi nazionali imbelli.

Nel secondo trimestre 2014 il Pil italiano è sceso nuovamente, mentre la disoccupazione nel Regno Unito ha toccato il minimo. Qual è il significato di questo insieme di fattori?

Dal 2008 in avanti la performance economica dell’Europa con l’euro e di quella senza euro è stata molto diversa. Non c’è quindi bisogno di fare paragoni con il Giappone o gli Stati Uniti per comprendere quali sono stati gli effetti causati dall’euro. Il confronto tra le due Europe diventa ancora più eclatante se si considera che l’Eurozona include la Germania, che pure è beneficiaria dell’attuale situazione. Se si facesse il confronto tra l’Europa senza euro e quella con l’euro, ma escludendo la Germania, probabilmente la forbice sarebbe ancora più grande.

 

Il Governo dovrebbe adattarsi alle indicazioni Ue sulla Legge di stabilità o rischiare la procedura d’infrazione?

Bisogna sempre vedere che cosa si ottiene rischiando la procedura d’infrazione. Sforare come scelta fine a se stessa, senza risolvere i problemi interni che bloccano la competitività, non ha senso. La Francia non uscirà dalla crisi pur sforando. Parigi non ha mai rispettato il rapporto deficit/Pil del 3%, ma non per questo ha risolto i suoi problemi, semplicemente sta rimandando l’inevitabile. Se ci si continua a rifiutare di ammettere l’insostenibilità della situazione, le diverse scelte possono produrre effetti semplicemente per quanto riguarda il tempo. Una migliore politica fiscale può essere semplicemente mirata a un miglioramento momentaneo della qualità di vita di cittadini stremati. Non può però essere risolutiva della situazione, che senza abbandonare la moneta unica non potrà mai essere superata.

 

(Pietro Vernizzi)