Tu devi crescere in quei pantaloni, tua sorella nella gonna! In quel tempo passato e con quella capacità di spesa si faceva categorico l’imperativo di mia madre. Lei e mio padre non erano da meno: rivoltavano i cappotti per farli durare. Allora funzionava tutto così. Un film veniva spremuto come un limone, dentro cinema di 1a, 2a, 3a visione; le vacanze fatte pendolando al mare in 4 sulla moto di papà. La domenica poi doppia festa, quella religiosa e quella profana del pollo arrosto nel piatto. La tenzone 8/900esca dentro la fabbrica, tra capitale e lavoro, si inaspriva. Mio padre operaio, stava lì, battagliava. In quel passato remoto, insomma, affaticati dal bisogno, ci si dava da fare.



Da allora a oggi son passati 50 anni, molta acqua sotto i ponti e molta strada dal bel tempo andato. Dentro questo tempo lungo venne pure il tempo della congiuntura favorevole. Una nazione in bilico sul bordo di un mondo diviso tra democrazia e comunismo ci rese appetibili, venimmo foraggiati per stare di qua. Se poi nella corsa allo sviluppo stavamo più indietro di altri, meglio: un affare tutto quel bisogno da soddisfare, tutta quell’italica creatività da far fruttare e quel lavoro da assegnare, buono per far guadagnare e spendere!



Tant’è, ringalluzziti dall’incipiente profusione le donne ci misero l’utero, gli uomini lo sperma e vennero al mondo tanti baby, quelli poi detti boomers. Pur essi da soddisfare. Se tanto mi da tanto cosa c’è di meglio, per spingere al massimo l’impiego delle risorse produttive, se non rendere merce tutto-quel-che-serve-per-vivere. Il valore aggiunto sta nel trasformare in beni e servizi gli atti della vita. Acquistati diventano ricchezza. Se tutti possono acquistare, si genera ricchezza a più non posso, per tutti o quasi. Escono così dalla fame famiglie, nazioni, pure continenti per la prima volta nella storia del consorzio umano.



Se tocca a tutti, tocca pure alla mia famiglia, piano, piano, magari a rate. Prima la casa, piccola ma confortevole, poi la “cucina economica”, più in là pure la televisione e ancora il telefono, così quando arriva la “seicento” mia sorella sbotta: siamo ricchi; mio padre si inorgoglisce, mia madre si commuove. Ricchi no; passo dopo passo, però, stavamo lasciando la condizione del bisogno.

Non finì qui, facemmo altro. Io, ficcato d’imperio nella neocategoria dei “giovani”, dovetti fare di più. Mi ficcai tra i 68’ini, quelli del “vogliamo tutto e subito”. Dentro quella baraonda trovai pure Proraso che faceva la barba ai Beat e Mary Quant che faceva moda con le minigonne per vestire le rivoluzionate dal sesso. Ecco sì, la moda, il transeunte come dicono quelli che sanno; l’obsolescenza programmata, come pensano le imprese che mi vestono e mi svestono, quando fa loro comodo. Quando poi si arriva “all’usa e getta” si scopre l’arcano. Senza trucco né inganno venne prodotto più di quanto potessimo acquistare. Le imprese misero insieme arzigogoli di ogni sorta: aumentarono stipendi e salari e alla bisogna offrirono credito al consumo come se piovesse; con il marketing e la pubblicità costruirono la domanda. A noi non restò che acquistare.

Anzi con l’usa e getta il messaggio fu chiaro e irrevocabile: non c’è più tempo per traccheggiare, occorre acquistare e consumare senza tempi morti in mezzo! Già, se dentro il ciclo economico all’impresa tocca velocizzare i processi e vendere il prodotto, a noi tocca fornire continuità al ciclo e pure in fretta. Presi per il bavero e ficcati dentro il meccanismo produttivo fu tutt’uno. Senza squilli di trombe venimmo associati all’accolita “Libero Mercato Spa” in funzione pro ciclica: azionisti di maggioranza ma senza portafoglio adeguato, anzi zeppi di debito. Debito in tutte la forme e di tutte la salse, che per surrogare redditi insufficienti, da spendere in quel che si vuole, quando si vuole.

Io qui ora, con il debito, faccio il mio a più non posso: ho mangiato ben oltre il pollo fino a ingrassare mentre tip/tappo sul ticchettio che fanno i vestiti nell’armadio passando di moda, in garage tengo pure un Suv per andare da qui a là. Altri là, negli Usa, usano il mutuo della casa come un bancomat per rifocillare il potere d’acquistare tutto fin quando, in quel 9 agosto del 2007, Home Bank Mortage, colosso del settore dei mutui fondiari, chiede la protezione “under chapter 11”: l’amministrazione controllata. Già, la storia è nota: il troppo storpia! Troppa sovraccapacità, troppa spesa fatta con il debito, troppo debito: viene giù tutto.

Oggi, dopo sette anni di crisi e tutti i policy maker a tentare di rifare il già fatto, io faccio il mio: non spreco il mangiare per ingrassare, anzi vado in bici da qui a lì così mi rassodo, ho preso pure a detestare quel ticchettìo della moda e vesto l’usato. Sì, faccio spending review e come me tanti, di qua e di là dell’Atlantico. Gulp, così l’impresa diventa ancor più sovraccapace, per metterci una pezza riduce l’occupazione e i salari, cosi girano ancor meno soldi che spendono ancora meno. Chi vorrà ancora fare credito/debito, per fare cosa?

Tant’è, le politiche monetarie messe in campo per sostenere la domanda, alterando il meccanismo di formazione dei prezzi, non funzionano. La deflazione, prima repressa, ora fa capolino. Si deteriorano le risorse produttive del sistema: capitale, lavoro e spesa. Questi i dati, questi i fatti, questi i danni.

In quest’oggi, carico di affanni, se speri nel domani quelli del “New normal” ti tolgono il fiato. Christian Rocca li presenta: “Vedono al ribasso le aspettative economiche create dalla crisi. Analisti ed esperti di destra e di sinistra, liberisti e keynesiani, iniziano già a scontrarsi sull’argomento. L’idea del ‘new normal’ sta nel fatto che la recessione ha alterato in modo strutturale il mercato del lavoro. La conseguenza è che dobbiamo scordarci la piena occupazione, i grandi profitti e gli alti dividendi”. Che verve ragazzi e quanto ottimismo!

Già, con i precetti che guidano il pensiero di questi tizi, tal disperante ragionare è quel che può capitare di dover pensare: un lavoro che paga appena per acquistare quel-che-serve-per-vivere, non quanto invece prodotto che resta invenduto, tagliando appunto profitti e dividendi. Già, se torno a crescere nei pantaloni, questo è il minimo che possa capitare. Anzi peggio, quella spesa insufficiente non rigenera manco il lavoro. Solo le norme di dottrine scadute sono in grado di pensare tal nuovo normale.

Non è normale pensare di spesare chi fa la spesa, quella spesa che fa crescere l’economia, ma s’ha da fare. Non è normale abbassare il prezzo delle merci, ancorché sovraprodotte, per rifocillare la capacità di spesa e smaltire il magazzino, ma s’ha da fare. Non è normale rifocillare quella spesa che paga con il prelievo fiscale l’altra spesa, quella pubblica, ma s’ha da fare.

Perché, giova rammentarlo ai dormienti, la crescita si fa con la spesa; proprio quella spesa che, smaltendo il sovraprodotto, fa fare nuova produzione che genera pure occupazione. Già, serve una nuova eresia, non un nuovo normale!