Mentre oggi la Banca centrale europea comincerà le operazioni di acquisto di prestiti cartolarizzati Abs, gli ultimi giorni della settimana trascorsa sono stati caratterizzati da un brusco ribasso degli indici di borsa (numerosi commentatori televisivi hanno parlato di “tempesta perfetta”) seguito da una ripresa rapida e sostenuta. Tanto il primo quanto il secondo sono stati spiegati come “aggiustamenti tecnici”- da livelli troppo elevati raggiunti negli ultimi mesi e da un tonfo eccessivo. È un andamento da non sottovalutare, come fa Paul Krugman in un commento apparso il 18 ottobre sulla catena di quotidiani aderenti a project syndacate. Krugman ha ragione nel sottolineare che gli indici di Borsa sono un pessimo strumento per predire l’andamento dell’economia reale; il Premio Nobel Paul Samuelson, sul cui Economics: an introductory analysis varie generazioni hanno appreso gli elementi essenziali della “triste scienza”, amava ripetere che mediamente gli indici di Borsa “ci azzeccano” una volta su due. Ciò nonostante la “tempesta perfetta” (non è la prima nell’eurozona) ha bruciato un volume molto ampio di risorse.



Proprio in questi giorni, due docenti di finanza all’Università del Lussemburgo, Andreas Chouliaras e Theo Harry Grammatikos, hanno completato una ricerca in cui esaminano “gli andamenti estremi” delle Borse in tre gruppi di Paesi (la periferia dell’eurozona – Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna – il nocciolo duro – Germania, Francia, Olanda, Belgio e Finlandia – e paesi europei di peso ma al di fuori dell’area dell’euro – Svezia, Regno Unito, Repubblica Ceca, Danimarca). Utilizzando “andamenti estremi” quotidiani nel periodo gennaio 2004-marzo 2013 concludono che, durante le crisi, i canali di trasmissione e di contagio si sono non intensificati ma ampliati con la conseguenza che in molti casi sono raddoppiati. Date le dimensioni della capitalizzazione borsistica nei paesi in questione, un aumento dell’1-2% del “ribasso estremo” «porta a perdite di decine di miliardi di euro in un solo giorno in cui i mercati sono aperti».



Quindi, è grave errore sottovalutare le implicazioni delle montagne russe azionarie dei giorni scorsi. Anche in quanto altre potrebbero essere in arrivo nell’immediato futuro. In primo luogo, perché l’esame e revisione da parte della Commissione europea delle “leggi di stabilità” di vari paesi membri (Francia e Italia innanzitutto) potrebbero innervosire Borse tutt’altro che tranquille: tale operazione dovrebbe completarsi entro il 31 ottobre. Nel contempo, il 4 novembre prende avvio la vigilanza Bce, guidata da una “donna di ferro”, Danièle Nouy, e, unitamente agli stress test, ciò potrebbe avere effetti sulle azioni di istituti bancari che hanno nascosto molta polvere sotto i tappeti. Sull’azionario, dunque, ne vedremo delle belle.



Ma vere indicazioni di dove stiamo andando vengono dall’obbligazionario. Un sondaggio di Towers Watson (un’agenzia specializzata) tra i maggiori gestori mette in evidenza che l’81% punta sull’obbligazionario nonostante i bassi, anzi bassissimi, rendimenti sul reddito fisso decennale (non parliamo del trentennale), tanto negli Stati Uniti che in Europa. A fronte di una revisione al ribasso delle stime macroeconomiche del Fondo monetario internazionale e di altri indicatori scoraggianti, ciò vuol dire che i gestori (e quindi i risparmiatori) temono l’estendersi di una deflazione mondiale, da cui resterebbero esclusi gli Usa per la loro forte carica innovativa, unitamente all’ampia libertà di manovra.

Ciò vuole, però, anche dire che gestori e risparmiatori sono alla ricerca di impieghi abbastanza sicuri a lungo termine che nel breve periodo mettano in modo capacità produttiva non utilizzata e nel medio aumenti la produttività dei fattori di produzione. In breve, infrastrutture. Poco presenti nella Legge di stabilità italiana, anche se comprese in parte nello “Sblocca-Italia”.