Nell’ambito dello scontro su suolo europeo tra Germania e Stati Uniti (di cui ho parlato nell’ultimo articolo), l’Italia, sebbene non abbia una situazione comparabile a quella della Deutsche Bank, si trova a dover dar conto agli Usa. Non a caso l’Eni, con un’imbarazzante inversione, ha dovuto sconfessare decenni di interessi con la Russia abbandonando il progetto South Stream declassificato a “mero investimento finanziario” (che costerà alcuni miliardi di euro di perdite secche e al quale va aggiunto l’altro fallimentare investimento a Kashagan in Kazakistan). Inoltre, essendo l’Italia stretta dall’abbraccio asfissiante dell’eurozona, dalla quale non sembra avere alcuna intenzione di uscire, ha dovuto accettare (se non cercare) le iniezioni di liquidità cinesi, cedendo quote di importanti aziende.



Secondo un recente articolo pubblicato dal Foglio, si ipotizza che l’Italia diventi terreno di scontro (e di conquista) tra gli Usa e la Cina. La recente “campagna acquisti” della Cina su aziende italiane avrebbe destato preoccupazioni a Washington. Gli Usa, quindi, avrebbero messo in campo alcuni loro attori geo-economici, quali il fondo di investimento Blackrock, per controbilanciare la presenza cinese. Soprattutto in società considerate strategiche (difesa, telecomunicazioni ed energia).



C’è poi da considerare la struttura del debito pubblico italiano. Nel 2012, in seguito all’aggiustamento imposto dalla Bce, il debito pubblico italiano è stato rimpatriato in carico agli istituti bancari nostrani: gli investitori esteri sono scesi dal 51% (2011) al 35%. Ma vista l’enormità del nostro debito pubblico (oltre 2.000 miliardi) il vero problema non è il valore netto (o reale), bensì quello finanziario, cioè quell’enorme massa di titoli obbligazionari necessari a rendere sostenibile il debito stesso. Infatti, così si spiega come sia possibile che a fronte di una disponibilità di liquidità del Tesoro presso la Banca d’Italia di circa 35 miliardi di euro nel 2012 il debito effettivo al netto della liquidità ammonta a circa 2.000 miliardi. È su questa leva finanziaria e sulla sua credibilità che si calcola il famoso spread.



Quindi, appare chiaro che il debito pubblico italiano è fluttuante, cioè dipende dalla capacità continua di rifinanziamento che si realizza attraverso la sua rinegoziazione sui mercati finanziari europei e globali. Si capisce allora cosa accade al debito in Italia: nonostante la tenuta del saldo primario di bilancio – quello richiestoci da Bruxelles, che si traduce nel contrarsi dei servizi sociali e degli investimenti legati a welfare e beni pubblici, pensioni, cassa integrazione e debito rinegoziato – è inevitabile che il debito continui ad allargarsi. La contrazione della spesa per interessi presente nel Def non basta a renderci stabili. Infatti, siamo esposti ai giochetti degli hedge fund, come si è visto negli ultimi giorni in borsa e con lo spread.

La recente Legge di stabilità attualmente all’esame di Bruxelles sembra che sia stata riscritta direttamente a Palazzo Chigi perché non si tratta, come in passato, di fare favori a un gruppo corporativo o agli eurocrati di Bruxelles. La questione è squisitamente politica. I numeri sono piuttosto irrilevanti, come hanno dimostrato i mercati che hanno mandato a picco la borsa e fatto innalzare lo spread. La logica politica dettata da Renzi è di tenere sul deficit e allargare il debito. In questo modo si tiene tranquilla la burocrazia di Bruxelles (deficit/Pil) e si fa un gran favore ai mercati finanziari, allargando il terzo mercato obbligazionario al mondo (le banche angloamericane ringraziano!). 

Non è tardata la reazione dalla Germania, scontenta perché tutta l’architrave della governance europea, a egemonia tedesca, si basa sulla contrazione del debito. La ragione del dispiacere di Berlino è semplice: vendere merci europee con moneta prestata dall’Europa è possibile se scende il debito. Con un alto debito pubblico continentale il credito (basso) all’esportazione non è possibile. 

La ragione del crollo delle borse non è quella cianciata bugiardamente da Renzi – fattori di instabilità geopolitica e altre storielle -, ma è il riflesso di quanto la Deutsche Bank annunciava da mesi nei suoi studi: la fuga dall’euro sta avvenendo, la crisi Ue è fortissima e l’architettura tedesca per l’eurozona è in crisi.

Il tentativo del governo Renzi è di piazzarsi in una linea mediana tra le attuali logiche di potenza americana e tedesca: tenuta dell’avanzo primario di bilancio (che piace a Berlino) e aumento del debito (che piace alla finanzia anglo-americana e a chi acquista debito sovrano da tutto il pianeta).

Perché la logica di Renzi tenga sarà necessario “finanziarizzare” i costi della manovra. Traducendo, ciò significa che l’Italia dovrà aumentare il debito sovrano che: a) renderà sempre più esacerbate le politiche di restrizione della spesa pubblica e di aumento dell’avanzo primario di bilancio; b) renderà sempre più dipendente questo Paese dalla tempeste finanziarie globali. Tertium non datur!

Che qualcuno lo spieghi, e presto, a quei politicanti che occupano le regioni italiane in un coacervo di collusioni e opacità. Cottarelli, indignato per la sua defenestrazione, ha fatto sapere che 8.000 comuni sono troppi. È vero, ma anche 22 costosi apparati regionali sono decisamente troppi!

 

(2- fine)