“Gli interessi sul debito pubblico stanno ammazzando il Paese e smantellando lo Stato Sociale. Gli interessi passivi annui sul debito pubblico sono destinati ad aumentare e a raggiungere quota 100 miliardi nel 2015”. È la denuncia di Beppe Grillo sul suo blog, pubblicata in un post dal titolo “Fuori dall’euro: o sovranità monetaria o default”, in cui il leader del M5S sostiene che “fuori dall’euro c’è salvezza, ma il tempo è scaduto. Riprendiamoci la sovranità monetaria e usciamo dall’incubo del fallimento per default. Per non finire come la Grecia”. Abbiamo chiesto un commento ad Antonio Maria Rinaldi, docente di Finanza aziendale all’Università Gabriele D’Annunzio di Pescara e professore straordinario di Economia politica alla Link Campus University di Roma.
Da dove nasce la posizione di Grillo sull’euro?
Nasce dalla considerazione che nessuno Stato sovrano può fare default. La stessa Argentina, pur definendosi uno Stato sovrano di fatto non lo era, tanto è vero che finì per affidarsi al cambio fisso con il dollaro. L’Italia è stato un Paese a sovranità limitata dal 1981 (anno del “divorzio” tra Tesoro e Bankitalia) fino all’entrata in vigore del trattato di Maastricht. In seguito abbiamo del tutto abdicato alla nostra sovranità monetaria con l’introduzione della moneta unica e con la rinuncia ai normali mezzi a disposizione per la politica monetaria.
Con quali conseguenze?
Se noi continuiamo a fare parte dell’unione monetaria il debito non lo restituiremo mai. Ritornare alla sovranità nazionale significa invece dare ai mercati la garanzia che saremo in grado di restituirlo. È un’affermazione logica, e mi fa piacere che Grillo la ricordi perché sono cose che noi dicevamo già molti anni fa.
Il vero problema sono gli interessi sul debito, o il sistema monetario che non consente all’economia di crescere?
Gli interessi non sono nient’altro che il “voto” che i mercati danno sulla sostenibilità del debito dell’Italia. Quando gli Stati forniscono maggiori garanzie sulla sostenibilità del debito, il livello dei tassi è più basso. Nell’ambito della stessa unione monetaria, che in realtà è soltanto un accordo di cambi fissi, ci sono nazioni che possono permettersi di emettere obbligazioni a tassi molto più bassi rispetto a quelli di altri.
Perché il “voto” dei mercati sulla sostenibilità del nostro debito è “negativo”?
Il fatto di poter avere una piena sovranità e di poter gestire il debito con gli strumenti propri della politica monetaria ed economica fanno sì che noi ci troviamo in una situazione di disagio. Il mercato attribuisce al nostro debito un livello di rischio superiore a quello degli altri Paesi, e ciò fa sì che noi abbiamo la necessità di reperire attraverso la fiscalità o con il taglio della spesa delle risorse superiori. Di fatto l’euro non prevede che la Bce sia prestatore di ultima istanza, ma prevede che questo ruolo gravi su cittadini e imprese attraverso le tasse.
Quali sono le probabilità che con referendum per uscire dall’euro in Italia vincano i sì?
Poter organizzare un referendum presuppone che ci sia un’informazione a 360 gradi della popolazione e dei cittadini. La popolazione italiana è stata letteralmente plagiata da più di 20 anni da parte di un mondo dell’informazione che ha dato spazio solo a un pensiero dominante, che intravvedeva nell’euro la sola soluzione possibile e proficua per il nostro Paese. Ci siamo invece resi conto che l’euro è stato un progetto riuscito male, con presupposti sbagliati e con un’esecuzione tecnica ancora peggiore. L’esito di un eventuale referendum dipenderà dal fatto di riuscire a informare i cittadini in maniera corretta. Ciò che occorre è utilizzare anche le persone idonee affinché sappiano rappresentare alla popolazione i vantaggi del fatto di ritornare a un’autonoma sovranità monetaria. Andrebbe spiegato è che quest’ultima ci consentirebbe di poter avere una nostra politica tarata sulle esigenze dell’economia reale, e non supportare invece un mondo finanziario virtuale attraverso l’euro.
(Pietro Vernizzi)