C’è qualcosa di peggio dello statalismo metodico, esplicito e ideologico, che ancora caratterizza i nostalgici del socialismo reale e i perenni avversari della libertà in economia e della democrazia in politica. È lo statalismo nascosto dietro le apparenze delle manovre di risanamento, della razionalità delle imposte, delle modifiche a piccoli passi della realtà. È questo statalismo, ancora più pericoloso di quello “ufficiale”, che si nasconde a fatica dietro alcuni provvedimenti dell’ultima Legge di stabilità, provvedimenti solo all’apparenza secondari e ancora più in apparenza dettati da motivi di riequilibrio fiscale e normativo.
Il riferimento è alla norma che aumenta al 20% e al 26% (peraltro era al 12,5% fino al 2012) la trattenuta fiscale per i rendimenti finanziari rispettivamente dei fondi pensione e delle istituzioni finanziarie come le fondazioni bancarie, una norma ancora più improvvida perché dovrebbe andare in vigore con decorrenza primo gennaio 2014, quindi retroattivamente in esplicita violazione dello statuto del contribuente che vieta la retroattività delle norme fiscali.
Questo aumento va a colpire in particolare due settori fondamentali in una visione sociale di sussidiarietà, di sostegno al non profit, di aiuto agli strumenti sociali che possono integrare il sempre più difficile intervento dello Stato: i fondi pensione da una parte e le fondazioni bancarie dall’altra. Ma la “botta” non si limita a questo: sui fondi pensione si abbatte anche la possibilità data ai lavoratori di incassare subito il Tfr, sulle Fondazioni c’è anche una tassazione sui dividendi percepiti superiore a quella dei soggetti privati profit che possono godere di detrazioni e deduzioni particolari.
Per quanto riguarda le Fondazioni bancarie è bene ricordare che si tratta di istituzioni create negli anni ‘90 per facilitare la privatizzazione delle Casse di risparmio facendo in modo che il loro patrimonio potesse essere utilizzato rispettando le finalità di integrazione sociale e di interventi sul territorio che stavano alla base delle precedenti realtà bancarie. Lo spirito della legge voleva far sì che le Fondazioni si staccassero progressivamente dal controllo diretto degli istituti di credito diversificando i loro investimenti, ma mettendo i rendimenti a disposizione delle attività sociali di interesse comune. Così è avvenuto per le grandi fondazioni, come la Cariplo, che è rimasta socia, ma di larga minoranza, di Banca Intesa: l’unica eccezione è stata la Fondazione del Monte dei Paschi di Siena, che ha cercato di tenere fino all’ultimo il controllo, finanziario e politico, della banca portandola tuttavia sull’orlo del fallimento.
Le Fondazioni sono “soggetti dell’organizzazione delle libertà sociali”: così nel 2003 le ha definite la Corte costituzionale annullando una legge che avrebbe voluto sottometterle al sistema politico. Sono la continuazione delle opere sociali create nell’Ottocento. Sono soggetti che, ovviamente se ben gestiti, possono dare (come infatti in gran parte danno) un contributo rilevante per finanziare interventi di pubblica utilità. La Fondazione Cariplo, per esempio, è in prima fila nelle iniziative per rilanciare l’housing sociale, per la salvaguardia dei beni artistici, per il sostegno alle opere caritative e di volontariato.
Ma la longa manus dello statalismo approfitta di ogni occasione. Dimenticando il fatto che realtà come le Fondazioni possono moltiplicare il bene, sostenere iniziative che aggregano forze diverse e che valorizzano il vero non profit, incentivare le realtà che nascono con tanta buona volontà di condivisione, ma con scarsi mezzi finanziari.