Stimo la competenza dei policy maker, sottostimo l’efficacia di quella competenza per affrontare la crisi. Proprio quella competenza costruita sul dettame di un paradigma vecchio come il cucco, che l’avvicinarsi della crisi non l’ha scorta manco aiuta a comprenderne lo svolgimento, ancor meno i modi per uscirne. Così, quando dopo sei anni finalmente quei portatori di quella competenza scorgono, nell’insufficienza della domanda aggregata, la causa della crisi, si danno un gran da fare per attrezzare alambicchi capaci di estrarre soluzioni adeguate.



Nel discorso di Draghi dello scorso 22 agosto a Jackson Hole, vi sono due frasi che danno conto del ristagno della spesa. La prima: «I dati più recenti sul Pil confermano che la ripresa nell’eurozona è debole ovunque, e la crescita dei salari è minima anche nei paesi meno colpiti dalla crisi; ciò indica una debolezza della domanda». L’altra: «Le politiche di intervento sulla domanda non sono giustificate soltanto dalla significativa componente ciclica della disoccupazione. Esse sono rilevanti perché, data l’incertezza che prevale in questo momento, queste politiche contribuiscono a evitare il rischio che la depressione della domanda distrugga la capacità produttiva». La Bce conviene quindi che tocca agire sugli investimenti e sull’occupazione!



Lo ribadisce a novembre il vicepresidente designato della Commissione Ue con delega a crescita e investimenti e attuale commissario agli Affari economici, Jyrki Katainen: “È necessario un rinnovato slancio per crescita e occupazione attraverso gli investimenti, ma senza creare nuovo debito”. Già, questo il modo che dovrebbe dar sostegno alle politiche di intervento sulla domanda: c’è bisogno di occupati che guadagnano, così poi spendono. Occorre quindi investire nel fare merci per occuparli.

Lo ribadisce il presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz. Il programma da 300 miliardi prospettato dal futuro presidente della Commissione Ue Juncker “deve essere un programma di stimolo” alla crescita e all’occupazione, “per fare in modo che gli investimenti possono essere effettivamente mobilitati”. Non manca proprio nessuno, dal Fmi anche Christine Lagarde auspica crescita e occupazione.



Oibò, questi competenti pensano che la crisi della domanda, che sta distruggendo capacità produttiva, si possa superare con gli investimenti. Solo una competenza scaduta può credere che siano le imprese, magari investendo, a poter produrre quella ricchezza, che distribuita, sia in grado di riattivare la domanda. Eh no signori, a questa contrazione della domanda privata pagano fio la produzione che va in surplus, il lavoro che ha prodotto quelle merci che va in sovrappiù. Così se si riduce l’occupazione e il reddito di chi ancora lavora figuriamoci la domanda: chi diavolo, in tali condizioni di sistema, vorrà investire per nuovamente produrre?

Si sta in spending review, signori. Eh sì, rivede la spesa chi vuol rassodare il potere d’acquisto, pure le imprese per limitare la sovraccapacità e le tante famiglie già satolle. E qui mi duole, ma, al fin qui detto e ridetto, occorre ancora dire per far vacillare le certezze di quei competenti. Orbene, a meno che non si voglia credere che la pandemia dell’avarizia abbia infettato i consumatori e con gli investimenti delle imprese si possa fornire quel vaccino che redima il vizio, tocca credere ad altro.

Ecco, per esempio, che sia invece venuto a mancare quel sostegno economico che remunera l’impiego delle risorse produttive messe in campo proprio da chi, facendo quotidianamente la spesa, tiene attivo il ciclo. Sì, insomma, proprio quel remunero con cui fare la spesa. Quella spesa che genera reddito, buono per fare altra spesa. Toh, se a spesa fatta resta pure il resto, con questi risparmi si finanziano proprio quegli investimenti delle imprese.

Così si fa la crescita nell’Economia dei consumi; così fatta genera pure occupazione. Così si intravvedeno lampi di vigore economico nella notte della crisi, il resto è noia. Noia competente, anzi mortale.