“Durante il dibattito parlamentare il Governo si farà carico di una proposta emendativa che sarà attuativa del nuovo contesto definito da un ulteriore aggiornamento del Def”. Enrico Morando, vice ministro dell’Economia, ha spiegato così la modalità attraverso cui le nuove misure annunciate dal nostro Governo saranno incluse nella Legge di stabilità. Rispondendo a una lettera del commissario Ue per gli Affari monetari, Jyrki Katainen, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha annunciato, tra le altre cose, minori tagli di tasse per 3,3 miliardi di euro. Misure simili a quelle annunciate dal ministro delle Finanze francese, Michel Sapin, che in una lettera ha annunciato una riduzione del deficit di Bilancio pari ad altri 3,6-3,7 miliardi di euro. Ne abbiamo parlato con Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.



Che cosa ne pensa della risposta di Padoan a Katainen?

La politica di bilancio europea, e in particolare la richiesta di un tendenziale pareggio di bilancio strutturale, si basa su un concetto economicamente valido sul piano della ricerca, ma quanto mai fragile per ciò che riguarda le decisioni politiche. Se si deve decidere sulla base di questi numeri, la necessità è quella di essere molto più flessibili rispetto a oggi. L’output gap cui fa riferimento Padoan è un concetto da usare con molta cautela.



Come si misura l’output gap?

L’output gap è misurato attraverso una stima econometrica che formula una valutazione relativa a quale sarebbe il Pil potenziale se le risorse del Paese fossero pienamente utilizzate. Facendo la differenza tra il Pil potenziale e quello effettivo quella differenza in percentuale rappresenta l’output gap. Quest’ultimo indica quanto avrebbe potuto crescere l’economia, ma non è cresciuta a causa della crisi: il Pil effettivo è di molto inferiore al Pil potenziale.

Perché ritiene che si tratti di concetti da usare “con le molle”?

Questo ragionamento ha indubbiamente una sua forte valenza, ma deve essere utilizzato con grande cautela perché non stiamo lavorando su dati quantitativamente misurabili ma su ragionevoli stime che possono differire a seconda della specifica formulazione del modello econometrico utilizzato. Trovo quantomeno discutibile che tutti i Paesi siano chiamati ad attuare politiche fiscali sulla base di stime econometriche di questo tipo. Le stime econometriche possono variare, ma le misure di politica economica no.



Lei è d’accordo con quanto afferma Padoan?

La risposta di Padoan è ineccepibile sul piano formale. Sul piano dei contenuti rivela però una modalità di procedere a politiche fiscali europee e in particolare italiane che si fondano su basi molto fragili.

 

In che senso?

La risposta di Padoan purtroppo è certamente condivisibile, anche se sottovaluta la natura stessa del processo cui siamo andati incontro in questi anni. Il prodotto potenziale, che lei si deve immaginare in modo semplificato, è una sorta di linea di interpolazione del passato verso il futuro. Bruxelles, e purtroppo anche Roma, non tengono conto della riduzione strutturale del prodotto potenziale. Dal momento che la diminuzione della domanda interna è durata così a lungo, le imprese che avevano una capacità produttiva pari a 100 ma lavoravano al 60%, e quindi avevano un output gap del 40%, a questo punto potrebbero avere deciso di diminuire la capacità produttiva all’80%. L’output gap è diventato solo del 20%, ma questo non vuol dire che stiamo meglio di prima, anzi stiamo decisamente peggio.

 

Che cosa ne pensa delle differenze di toni tra la risposta di Padoan e quella del ministro delle Finanze francese Michel Sapin?

La posizione francese è condivisibile. Non vedo questa grande differenza di sostanza economica tra la posizione francese e quella italiana. L’atteggiamento francese nei confronti della Germania è più “morbido”, nonostante alla fine Parigi faccia quello che ha in mente. La politica scelta dall’Italia è invece quella di essere molto più diretta. Per certi aspetti la politica italiana tende a mettere la Commissione di Bruxelles di fronte alle sue responsabilità, mentre la Francia può permettersi di ricorrere a una maggiore diplomazia.

 

(Pietro Vernizzi)