Oltre alla beffa (degli stress test farsa), ora anche il danno (per i contribuenti italiani). Nel giorno che ha visto la Borsa italiana guidare il rimbalzo dei gatti morti europei, una sola notizia è degna di menzione e driver principale di questa inversione dei corsi dopo il mezzo bagno di sangue di lunedì: Monte dei Paschi è tecnicamente fallita e verrà nazionalizzata, quindi tutti a comprare come se non ci fosse un domani, perché nel mondo mosso dalle banche centrali la garanzia governativa su un titolo bancario è quanto di più allettante possa esserci (soprattutto se quella stessa banca è stracolma di titoli di Stato italiani, certezza matematica del suo salvataggio a qualsiasi costo).



Alla faccia delle leggi di mercato tanto care al suo amico Davide Serra e al merito con cui si riempie quotidianamente la bocca, Matteo Renzi e il suo Governo stanno per dar vita alla versione bancaria del famoso “decreto spalma-debiti” che permise alle società di calcio di fare quello che a un povero cristo non è concesso: ovvero, pagare con tutta calma il debito che ha contratto. Noi alle prese con Equitalia, loro a giocare a fare i banchieri con le spalle coperte dal Governo.



Non è una mia convinzione, nonostante io abbia dato per certo questo epilogo già quando il Governo Monti diede vita al primo regalo verso l’istituto senese, è realtà certificata dai fatti: la possibilità di ritardare la restituzione degli aiuti di Stato o di convertirli in azioni per il Governo è una delle opzioni sul tavolo di Monte dei Paschi per coprire la carenza di capitale (2,11 miliardi di euro) emersa dal “comprehensive assessment” della Bce. Stando a quanto riferito da una fonte vicina alla situazione, lunedì il presidente della banca senese, Alessandro Profumo e l’ad, Fabrizio Viola, avrebbero varcato il portone del ministero dell’Economia per un confronto sulla situazione di Rocca Salimbeni e tra gli argomenti trattati sarebbe emerso il pagamento dei Monti Bond residui (circa 1,1 miliardi) che Monte dei Paschi deve rimborsare.



Nel 2015 e 2016 scadono due tranche consistenti del rimborso, pari a 750 milioni di euro, e gli stress test della Bce hanno valutato la solidità della banca in caso di scenario avverso proprio nel triennio 2014-2016: dunque, una delle ipotesi allo studio sarebbe proprio quella di posticipare il pagamento delle due tranche con l’ultima a fine piano, nel 2017, guadagnando così un po’ di respiro. Un’eventualità, questa, tutta ancora da verificare in attesa del lavoro degli advisor, Ubs e Citigroup, incaricati di mettere a punto una strategia per affrontare il deficit di capitale, ma la visitina romana dei due manager sembra accelerare e non poco la pratica.

Per gli esperti di Mediobanca Securities (la quale certifica e conferma al titolo Mps rating neutral e target price a 1,15 euro), rinviando il pagamento dei Monti Bond, il deficit di capitale si potrebbe ridurre a 1,35 miliardi di euro; anche il broker ha ricordato che tra le ipotesi passate al vaglio rientra anche la cessione di alcuni asset, come ad esempio Consum.it, o di alcuni sportelli, oltre all’emissione di bond “additional tier 1” per 830 milioni euro. La vendita di Consum.it potrebbe aggiungere 35 punti base al Core equity tier 1, mentre altri 30 punti base potrebbero derivare dalla vendita del comparto leasing e factoring, riducendo il deficit di 400 milioni di euro: tramite questi interventi la carenza di capitale scenderebbe circa a 900 milioni, senza considerare l’emissione di obbligazioni At1 per massimi 830 milioni.

Wishful thinking, direbbero gli inglesi, e infatti sempre Mediobanca fa notare che tuttavia «i nostri calcoli assumono il successo delle cessioni che potrebbe non essere semplice nell’attuale contesto macroeconomico». Come dire, una cosa è la teoria, una la pratica. Anche a detta degli esperti di Equita (hold e prezzo obiettivo a 0,9 euro) posticipando il rimborso dei bond governativi lo shortfall scenderebbe a 1,1 miliardi, una carenza di capitale che potrebbe poi essere compensata con un bond At1 e/o con cessioni. La diluizione sarebbe del 5% superiore a quella che gli analisti hanno ipotizzato con aumento di capitale da 1,5 miliardi, ma il Governo diventerebbe il primo azionista con il 27% e gli azionisti sindacati si diluirebbero al 7%.

Per quanto riguarda un eventuale aumento di capitale, l’operazione dovrebbe essere realizzata insieme alle cessioni e all’emissioni di bond per un massimo di 800 milioni, mentre sul tema aggregazione (lunedì l’ad di Ubi Banca, Victor Massiah, ha messo le mani avanti dicendo che al momento non vi è nessun dossier aperto) l’operazione avrebbe un rischio di esecuzione elevato, non solo per i problemi di governance: «La situazione non è chiara e gli spazi di manovra per il management sono limitati», ha concluso Equita. Intanto, però, gli investitori si sono fatti ingolosire dalle ipotesi di rinvio del pagamento dei Monti bond e dalle possibili operazioni di fusione e aggregazione future e a Piazza Affari il titolo Mps, dopo il -21,5% di lunedì, a metà pomeriggio saliva dell’1,2% dopo essere arrivato a toccare +2,17% a 0,802 euro. Inoltre, la Consob ha deciso di estendere il divieto di assunzione o incremento di posizioni nette corte sulle azioni e il provvedimento sarà in vigore fino al termine della seduta di lunedì 10 novembre: pratica utilissima quest’ultima, i tonfi del 2011 sono lì a confermarlo.

Per Fitch l’esito del “comprehensive assessment” della Bce, che ha evidenziato per le banche italiane carenze di capitale per 9,7 miliardi (senza considerare le operazioni di ricapitalizzazione effettuate quest’anno), non fa scattare delle azioni immediate sui rating degli istituti: l’esercizio ha comunque fornito una notevole quantità di nuovi dati che verranno inseriti nelle analisi delle banche monitorate. Per le due bocciate, Mps e Carige, Fitch ha affermato che «raccogliere nuovo capitale sarà particolarmente impegnativo»: meno male che ci pensano i geni del rating a illuminarci. Ma il problema è strutturale, ovvero del livello di cialtroneria che caratterizza il mercato e i suoi presunti protagonisti.

Uno degli obiettivi principali degli stress test bancari, che hanno richiesto un anno per aggregare milioni di numeri, era infatti quello di fornire al pubblico dati affidabili e completi sulle finanze degli istituti di credito del continente. Peccato che – al netto di quanto vi ho detto ieri, ovvero dei cialtroneschi criteri di creazione del cosiddetto scenario avverso, soprattutto per quanto riguarda il livello dell’inflazione – ora si sia scoperto come alcuni errori e incongruenze abbiano comunque screditato, almeno per certi aspetti, i risultati dei test che sono stati pubblicati domenica. La Banca centrale europea ha dovuto infatti rimuovere per breve tempo dal suo sito i risultati di una grande banca italiana dopo aver scoperto un errore nel Kcr, cioè il coefficiente di capitale chiave: indovinate un po’ qual è quella banca? Bravi, ci avete preso.

Come se questo non bastasse, i risultati di una revisione dei bilanci delle banche polacche sono stati lasciati fuori dalle prove a causa della tardiva presentazione dei dati: ricordatevi sempre la mia profezia sulle banche bulgare, non manca molto. E ancora, la Bce e l’Eba, che hanno supervisionato congiuntamente il processo di test, hanno fatto notare che incongruenze di valori riguarderebbero anche un istituto da niente come Deutsche Bank: forse per il suo portafoglio derivati impresentabile, di cui vi ho più volte parlato?

Se questi sono i controllori del mercato, stiamo davvero freschi. Prepariamoci, ci toccherà salvare Mps con soldi nostri: il capitalismo all’amatriciana (ma loro preferiscono chiamarlo “di relazione” o “di sistema”) è questo. Da sempre.