La ricetta per ripartire c’è, è pronta, chiara, già scritta e molto facile da mettere in pratica. Il problema è che nessuno ha il coraggio di proporla e resta chiusa nei cassetti. Ma non ci sono dubbi, non ce ne possono essere di fronte alla terza recessione dal 2008, a una disoccupazione giovanile che ormai vede il 50%, alle indagini sulla fiducia delle imprese e dei consumatori che continuano a restare sotto il livello di galleggiamento, ai consumi stagnanti e a un clima generale di paura e depressione sociale. Insomma, la strada non può che essere una: i mutui subprime.
Sì, avete capito bene. All’Italia per ripartire non servono chiacchiere, né cure palliative. Serve uno choc politicamente scorretto, una bella bolla scomoda e potente, ma capace di far ripartire un’economia asfittica, inchiodata, insabbiata. E poi è inutile girarci attorno, come sta facendo la Banca centrale europea, che continua a varare provvedimenti senza effetti sostanziali e ad annunciare possibili colossali misure straordinarie in caso di bisogno, con il solo risultato che ormai i mercati non ci credono più. Perché come Pierino non puoi continuamente gridare “al lupo al lupo”: quando poi il lupo arriva veramente, nessuno ci crede.
Non c’è scampo: l’Italia ha fame, fame di subprime. Per capirlo non ci vuole tanto. Mario Draghi continua a sostenere che serve credito, che le banche devono prestare soldi alle famiglie e alle imprese, ed è per questo che inonda di liquidità il sistema. A questo servono i vari Tltro, l’acquisto di Abs e covered bond, la distribuzione di soldi alle banche a condizione che li prestino, per far ripartire investimenti, consumi e Pil. Tutto giusto, manca solo un dettaglio: perché la gente dovrebbe chiedere denaro in prestito? Perché dovrebbe indebitarsi? O meglio: chi ha il coraggio oggi di accendere un mutuo, anche a tasso zero, se siamo tutti schiacciati dal terrore di ritrovarci comunque in mutande fra due, tre, quattro o cinque anni, perché magari avremo perso il lavoro, l’azienda avrà chiuso, l’economia sarà ancora più ferma?
Cioè, che senso ha dire alle banche di prestare soldi se chi li deve prendere non sa se sarà in grado non tanto di restituirli, quanto di campare nei prossimi cinque anni? Pensiamo anche ai giovani: come si fa a pensare che qualcuno sotto i 35 anni, considerato il contesto di precarietà e incertezza, domani mattina decida di andare in banca a farsi prestare denaro? E per cosa poi, se non ci sono nemmeno figli da crescere e mantenere? Altro che “reintegro” e “tutele crescenti”.
Il problema, pensateci bene, è reso ancora più grave dai messaggi che arrivano da tecnici e politici vari. Prima hanno dato 80 euro al mese a caso, sulla base di redditi individuali né bassi né alti, senza una ragione, un senso e nemmeno un obiettivo. Ora, non contenti, stanno pensando di metterci in tasca la liquidazione a rate mensili. Ma a che pro? Perché la consumiamo tutta prima? Urca! Complimenti! Pensa che messaggio: non avrai un futuro, non avrai una pensione, nemmeno una liquidazione, quindi spenditi tutto il Tfr oggi, possibilmente non in slot machine o puntate sul campionato. Carpe diem, insomma, che tanto siamo già tutti morti.
Ecco perché non si spiegano tutti questi sforzi per sostenere una domanda di credito che non c’è e non ci sarà ancora per lungo tempo. A meno che non si abbia il coraggio di fare il passo completo, assumendosi le responsabilità fino in fondo: le banche devono prestare soldi, un sacco di soldi, a tutti quelli che lo chiedono, senza aspettarsi però che quel denaro possa tornare indietro. Come? Ovvio, con la formula dei subprime: il rischio di credito viene trasferito all’esterno della banca, spacchettato e infilato in belle e gustose salsicce finanziarie ad alto rendimento da distribuire sui mercati e nei bilanci delle grandi istituzioni finanziarie globali.
Ha già funzionato. E sappiamo qual è il rischio che si corre, dunque sappiamo anche come controllare la possibile degenerazione: evitare di attribuire rating alti ai titoli potenzialmente tossici, stare attenti agli eccessi speculativi del mercato immobiliare… e via dicendo. Prestare i soldi a gente che non li può ridare, cioè i nuovi poveri di oggi – tutti, in fondo, le tante vittime dell’incertezza strutturale e dell’europaura – perché si comprino la casa, l’auto, la lavatrice, si paghino le vacanze, le spese per l’educazione dei figli o quello che vogliono.
E se la bolla dovesse poi scoppiare? Nessuna paura: la Bce, a quel punto, con i soldi che avrà risparmiato smettendo di distribuire euro a caso, magari con l’aiuto di Bruxelles, avrà sicuramente le possibilità salvare tutti: banche, finanziarie, imprese e famiglie. In ogni caso, si vedrà. Meglio questo carpe diem dell’altro.
Non vi piace la ricetta? Ok, nessun problema. Allora finiamo di prenderci in giro, non c’è altra strada: fate almeno due figli a testa, poi uscite di casa e cercate un lavoro per mantenere la famiglia, accettando una paga inferiore a quella degli altri e preparandovi a lavorare almeno 12 ore al giorno. Oppure comprate un Apecar, sedetevi alla guida, e fatevi venire un’idea migliore. In bocca al lupo. A tutti noi.