«Se le regole Ue non cambieranno, la mossa di Hollande porterà la Francia in default. Non è però la prima volta che le norme europee sono riscritte a uso e consumo di Parigi, dopo che tutti avevano puntato il dito contro l’Italia per non averle rispettate». A rimarcarlo è Alberto Bagnai, professore di Politica economica all’Università G. D’Annunzio di Pescara. Dopo che la Francia ha rimandato ulteriormente il rientro sotto il limite del 3% nel rapporto deficit/Pil, la Merkel ha bacchettato Hollande ricordando che “i Paesi devono fare i loro compiti per il loro benessere”. Anche il premier italiano Renzi ha preso posizione, osservando: “Sono dalla parte della Francia. I Paesi non vanno trattati come studenti”.



Non le sembra che nella discussione sul 3% ci sia un po’ di confusione?

La discussione è effettivamente contraddittoria perché si articola intorno a un falso problema, quello dell’austerità. La scelta di adottare politiche di rigore è una diretta conseguenza del cambio fisso legato all’euro. Se un Paese decide di violare le norme di austerità, non potendo aggiustare il suo cambio commerciale con i partner dell’Eurozona, finisce per trovarsi in una situazione sostanzialmente simile a quella in cui era l’Italia nel 2011.



È quello che accadrà alla Francia?

La Francia di fatto è già sulla soglia di questa condizione, e quindi quella di Hollande è una manovra disperata: giocarsi il tutto per tutto comprando con un po’ di spesa pubblica e accrescendo la sua popolarità in casa propria, ma mettendo il Paese a rischio default.

Che cosa ci dobbiamo aspettare intanto in Italia?

Renzi ha trovato i conti in ordine perché così glieli ha lasciati Monti, e quindi può avere un atteggiamento diverso. Tanto Hollande quanto Renzi però si rifiutano di affrontare il vero nodo del problema, che non è l’austerità, bensì l’euro.



Se l’Italia avesse una moneta autonoma, il debito pubblico cesserebbe di essere un problema?

Ho realizzato un modello, pubblicato sul mio blog, attraverso il quale ho simulato l’impatto di una svalutazione della lira. Quello di cui c’è bisogno per ridurre l’incidenza del debito è la sostenuta crescita nominale, cioè una crescita del prodotto, dell’occupazione e dei prezzi. All’interno dell’euro ciò non è possibile, come del resto avevano previsto diversi economisti tra cui Paul Krugman. Draghi non riesce a reflazionare le economie europee, e quindi anche quella italiana, e questo fatalmente ci avvia su un percorso di insostenibilità del debito. L’Italia oggi è un Paese sempre più pericoloso per gli investitori, perché deflazione e mancanza di crescita rendono impossibile fare deficit.

 

Quale delle due economie è messa peggio, quella francese o quella italiana?

La Francia è senza dubbio messa peggio dell’Italia: ha una situazione sul fronte della competitività estera che è più precaria della nostra, anche perché non ha praticato delle politiche di austerità. La Bce ha spiegato che siamo sostanzialmente in una crisi di debito estero, cioè di bilancia dei pagamenti, ed è da questo punto di vista che l’Italia sta meglio della Francia. Parigi non ha mai rispettato il limite del 3%, e questo fin dal 2003 quando insieme alla Germania decisero unilateralmente di sforarlo.

 

Insomma, due pesi e due misure?

Sì, e non è la prima volta. Nel 1992, quando vi fu la crisi del Sistema monetario europeo, di fatto fallì un precedente tentativo di cambio fisso tra i Paesi europei. L’Italia ne uscì con grande onta e fu costretta a svalutare, mentre la Francia fu attaccata un anno dopo e non svalutò semplicemente perché furono cambiate le regole del Sistema monetario europeo. La storia quindi si ripete, la prima volta come tragedia e la seconda come farsa, e questa volta, dal momento che abbiamo Renzi al governo, siamo al massimo della farsa. Ora si stanno esattamente riproponendo le stesse dinamiche: prima va in crisi l’Italia e tutti ci puntano il dito addosso, ora che è il turno della Francia le regole cambieranno.

 

(Pietro Vernizzi)

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