Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, incontrerà oggi nella Sala Verde al terzo piano di Palazzo Chigi i leader dei sindacati e il presidente di Confindustria. L’obiettivo del Premier è raggiungere un accordo che preveda la legge sulla rappresentanza sindacale in cambio dei contratti aziendali. A tema anche il salario minimo per legge e il Tfr in busta paga già dal 2015. A chiedere la legge sulla rappresentanza sindacale era stato soprattutto Maurizio Landini della Fiom, la cui sigla era rimasta esclusa dagli accordi con la Fiat. Per Francesco Forte, ex ministro delle Finanze, se portata fino in fondo quella dei contratti aziendali può essere una vera e propria rivoluzione. Anche se Forte osserva che in tutti i suoi provvedimenti «Renzi è un leader double-face. Da un lato attua misure che potrebbero avere natura liberale o sociale, ma nello stesso tempo è decisamente populista. Gli 80 euro in busta paga sono l’esempio più lampante, in quanto sono stati introdotti con il preciso scopo di vincere le Europee».
Professore, partiamo dal Tfr in busta paga. Quali sono pro e contro?
È un diritto del lavoratore gestirsi il proprio Tfr, mentre è una procedura abbastanza anomala il fatto di obbligarlo a tenerlo presso l’Inps o presso fondi speciali stabiliti dallo Stato. Non dobbiamo però illuderci che il Tfr in busta paga possa servire a tonificare i consumi, anche perché presenta due potenziali problemi.
Questo provvedimento può portare con sé dei problemi di liquidità per le aziende?
Esatto, questo è il primo dei due problemi. Se le imprese sotto ai 50 addetti saranno chiamate a erogare il Tfr, occorrerà un meccanismo tecnico certo e precostituito per consentire loro un finanziamento dalla Bce. Senza questo finanziamento noi perdiamo l’investimento, e creiamo un vulnus all’economia che vale circa 10 miliardi l’anno.
Se i lavoratori decideranno di spendere subito il Tfr, ciò potrebbe provocare anche dei problemi di natura sociale?
I fondi della previdenza integrativa possono in questo modo essere depauperati. Si sottrae loro il denaro necessario per reinvestirlo e non per consumarlo. Occorre fare attenzione ad assicurarsi che il lavoratore non commetta l’errore di consumare subito tutto il Tfr in busta paga, ma compia un investimento equivalente. Non si può permettere con una norma di legge di prelevare dai risparmi per i lavoratori in questo periodo di disoccupazione, in modo da spenderli adesso. Ciò creerebbe una premessa per cui in un secondo momento dovrebbe intervenire lo Stato. Bisogna quindi fare attenzione a non farne una norma demagogica e populista.
Che cosa ne pensa invece dei contratti aziendali?
Dopo l’incontro con Marchionne, Renzi ha modificato la sua posizione in tema di lavoro. Una delle caratteristiche peculiari di Renzi del resto è che cambia idea spesso e molto facilmente. Il punto è che avrebbe dovuto evitare di impostare il problema della riforma del lavoro dalla coda anziché dalla testa. Renzi avrebbe dovuto partire dalla problematica del licenziamento individuale affrontata in modo specifico e organico.
In che modo?
Avrebbe dovuto stabilire che i contratti aziendali prevalgono su quelli nazionali, e che in essi l’articolo 18 può essere frutto di un accordo tra le parti. Mi riferisco alla possibilità di demandare il licenziamento all’arbitrato e di fare un’interpretazione del licenziamento disciplinare.
Invece che cosa è avvenuto?
Renzi è partito dalla concezione dirigista dell’articolo 18, quindi si è reso conto di essersi cacciato in un vicolo cieco e ha compiuto una giravolta. Se davvero intende perseguire la strada dei contratti aziendali, il contratto a tutele crescenti non ha più un vero valore.
Quali saranno le conseguenze?
Se i contratti aziendali sono liberalizzati possono essere di varia natura e non è detto che siano tutti a tempo indeterminato. La conseguenza sarebbe che il Jobs Act non sarebbe più un modello di ispirazione dirigistico-bocconiana, bensì trarrebbe la sua ispirazione dall’economia sociale di mercato di matrice cristiana. Il contratto aziendale ha le sue radici nel riformismo dei partiti della sinistra cristiana che si ispiravano in Italia alla Rerum Novarum.
(Pietro Vernizzi)