La politica monetaria non può produrre da sola tutto lo stimolo che serve all’economia dell’Eurozona per crescere. Ma i governi non stanno modificando nelle loro nazioni i modelli economici inefficienti e l’Ue non riesce a rimodellare le regole europee in direzione pro-crescita. Pertanto, nell’Eurozona e in Italia, possiamo contare solo sull’effetto stimolativo delle azioni reflazionistiche della Bce: svalutazione dell’euro e iniezione di liquidità nel sistema bancario per aumentarne l’offerta di credito. Ma la domanda di credito dipende dall’economia reale che ora è stagnante per mancanza di ottimismo. Quindi per stimolare l’ottimismo (reflazione) c’è solo la leva del cambio.



Un’analisi simile ha ispirato le recenti mosse della Bce finalizzate a svalutare l’euro di circa il 10%. In realtà, si tratta di un riallineamento del cambio in quanto il dollaro era stato svalutato pesantemente come stimolo per la ripresa. Questa azione della Bce non sarebbe riuscita se, nel frattempo, il dollaro non si fosse rafforzato per motivi suoi.



In sintesi, il momento di mercato è caratterizzato da un dollaro che sta diventando “forte” e un euro che vuole diventare “debole”. La competitività valutaria ha due benefici: rende più concorrenziali le merci esportate e attira più investimenti (effetto sconto) e, rilevantissimo per l’Italia, più turisti da aree non-euro. C’è anche un costo: le imprese pagano di più le materie prime prezzate in dollari. Ma la comparazione tra costi e benefici mostra la prevalenza sistemica dei secondi, considerando che il prezzo dell’energia è basso per l’eccesso di offerta dovuto alle nuove tecnologie americane di estrazione di petrolio e gas via frammentazione di rocce.



Il punto: “ci” lasceranno mantenere debole l’euro per il tempo sufficiente a muovere l’ottimismo? Il problema principale è che il dollaro forte sta destabilizzando le nazioni emergenti che si sono indebitate in quella valuta e ciò potrebbe richiedere un suo nuovo indebolimento. Un altro problema è che la Cina vuole dipendere meno dal dollaro e compra euro per i pagamenti, attutendone la svalutazione.

Tali problemi sarebbero superabili se la Bce comprasse eurodebito, di fatto stampando moneta, buttando giù l’euro oltre qualsiasi barriera come fece Washington quando lo ritenne necessario. Ma la Germania si oppone.

Quindi? Difficilmente avremo la svalutazione che serve, ma comunque quella possibile nel gioco di forze contrastanti citate potrebbe portare il Pil italiano 2015 dallo 0,2%, oggi stimato, allo 0,6%. Meglio di niente, ma una Bce più libera lo porterebbe vicino a un più desiderabile 1,5%.

 

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