Chiariamo subito che l’euro, come tutte le monete, è un documento politico rappresentato da un atto amministrativo che ha valenza monetaria, cioè valido e riconosciuto come strumento legale di valorizzazione e di scambio. Ciò significa che la “ricchezza” può essere denominata in euro, e quindi accumulata in depositi il cui valore è garantito dalla solidità reale degli “asset” europei, in prevalenza beni tangibili. Vale la pena ricordare che il terziario (i servizi) non potrebbe creare ricchezza senza una sostanziale base di asset tangibili nell’economia.



Se il ruolo di valorizzazione dell’euro è una realtà non contestata, anzi ben considerata sia all’interno che all’esterno dell’eurozona, è il ruolo di moneta di scambio – soprattutto nei mercati mondiali delle commodities e dei prodotti finanziari collegati – che l’euro non ha potuto costruirsi, perché tale posizione, da quasi un secolo, è monopolisticamente occupata dal dollaro americano. Ciò spiega perché il mercato prevalente in euro è rappresentato da titoli obbligazionari, che fungono da “assicurazione” sui rischi finanziari per chi gestisce il lucrativo mercato dei prodotti finanziari derivati dagli scambi. Quindi l’euro è una moneta prevalentemente “statica”, una sorta di cassaforte alla quale si deve garantire stabilità e certezza del valore. In un certo senso, l’euro rassomiglia a un franco svizzero su scala più grande.



La creazione dell’euro è stata un atto politico-diplomatico – il Trattato di Maastricht entrato in vigore nel 1992 – e la sua esistenza fisica si deve a un atto amministrativo – il più volte richiamato regolamento comunitario 1466/97 -, mentre la sua gestione in quanto documento legale a valenza monetaria è delegata dai governi a un organismo comune indipendente – la Banca centrale europea – che si avvale di poteri e di operazioni di controllo propri e anche in coordinamento con le strutture amministrative comunitarie, cioè la Commissione europea. Quest’ultima vigila sul rispetto nazionale dei trattati europei e quando necessario interviene con richiami o in modo sanzionatorio.



Il dibattito sulla decisione politico-diplomatica si è già concluso, dopo il referendum francese e danese, ratificando per via parlamentare il Trattato di Maastricht. In molte legislazioni nazionali, che sono le uniche a trattare le modalità di abrogazione degli atti politico-diplomatici di un Governo, non è prevista alcuna possibilità di iniziativa popolare per abrogare, in tutto o in parte, tali decisioni già ratificate. L’unica possibilità è il cambio di regime politico e di governo perché i trattati siano denunciati e quindi disattesi con decisione unilaterale rispetto agli altri membri della Comunità internazionale. Scelta politica legittima, ma con costi e rischi conseguenti.

Quindi, per quanto riguarda l’Italia, tranne deprecare le decisioni dei governi guidati da Andreotti e Ciampi, nonché punire elettoralmente i parlamentari e i gruppi politici che hanno votato la ratifica in Parlamento, cioè il Pds (D’Alema, Fassino, Veltroni, e Chiarante), la Dc (Forlani), il Psi (Craxi, Amato e De Michelis) e il Pri (La Malfa), null’altro si può fare per via democratica. Se poi si accettasse che qualcuno di costoro succedesse al già emblematico Napolitano al Quirinale, allora vuol dire che si è d’accordo con le decisioni prese nel 1989-1992.

Per quanto riguarda l’atto amministrativo che ha dato vita reale all’euro, valgono le note considerazioni di legittimità presentate dal Prof. Giuseppe Guarino, che nel suo recente “Saggio di verità 2“ sostiene che esista una ragione di nullità dell’atto esecutivo che ha messo in circolazione l’euro. Ma anche in questo caso non è la via referendaria che può dare soddisfazione, bensì la via legale di un ricorso alle più alte corti nazionali e alla Corte europea. A oggi, l’unico ricorso europeo che tocca indirettamente l’euro è quello della Corte costituzionale tedesca che ritiene di chiedere se le decisioni della Bce in materia di acquisto di titoli di debito pubblico (Omt) siano compatibili con il Trattato. Tutti gli altri rumorosi sobillatori di sentimenti, da Grillo a Marine Le Pen e a Salvini, e ai carismatici leader spagnoli e greci di Podemos o di Syriza, non hanno presentato alcun ricorso amministrativo nazionale o europeo. Evidentemente ciascuno pensa di agire per via dell’eventuale cambio di regime politico e di governo. Ipotesi non del tutto remota in Francia, Spagna, Grecia e Italia. Ma, come abbiamo detto prima, ciò è altra cosa, così com’è altra anche la posizione dei nazionalisti britannici (Ukip), che intendono riposizionare il Regno Unito (la City) come attore globale al di la dei destini dell’Europa continentale.

Infine, le decisioni della Bce sono collegialmente assunte dal Consiglio direttivo, e non sottoponibili a scrutini di altra natura politica. Ancora una volta, solo i componenti tedeschi del Consiglio mettono in questione, talvolta non votando a favore, le decisioni della Bce e del suo governatore, l’italiano Mario Draghi che è di ampia formazione anglo-americana e di chiara ascendenza Goldman Sachs, che è una delle più grandi banche americane nel mondo. Se gli altri membri acconsentono significa che a livello nazionale le decisioni della Bce sono state approvate o, comunque, non si possono mettere in discussione. Anche in questo caso, tranne dare l’assalto alla Banca d’Italia, non ci sono altri strumenti democratici. Se poi qualcuno ipotizzasse che Draghi potrebbe ricoprire l’alto incarico quirinalizio, allora significa che l’Italia ha definitivamente ceduto se stessa al “Britannia”.

Concludendo sull’euro, la questione della democraticità o del ruolo del Parlamento europeo è assolutamente inesistente. Lo è anche a livello nazionale per gli stati dotati di moneta propria. La moneta è atto sovrano, delle elite di potere in un certo momento, e quindi non può essere democratica o democraticizzabile. Altro è la politica economica e monetaria, ben diversa dall’economia politica prevalente da quarant’anni, che riguarda le azioni politiche che un Governo mette in atto per usare la moneta come strumento di sviluppo e benessere dell’insieme della società che governa.

Per capirci, l’inflazione controllata, la svalutazione del valore monetario e la leva fiscale sono strumenti di politica monetaria ed economica, mentre i metodi di ottimizzazione dei flussi economici e produttivi, cioè la massimizzazione del valore contabile e di bilancio, è economia politica. Con le regole decise per mettere in atto l’euro esistono solo gli strumenti di ottimizzazione, quindi di riduzione dei costi e di equilibrio contabile. Nessuno, a livello europeo o nazionale, ha la responsabilità per la politica economica e monetaria dell’eurozona. Questo è il problema, per l’appunto solo politico. Una moneta anomala, concepita zoppa, che è solo un progetto politico e nulla più. Come dicevamo, una cassaforte.

Specificando che in alcun modo intendiamo istigare intellettualmente alla sovversione, vogliamo chiarire che il sistema europeo, e in particolare quello dell’euro, è un prodotto politico che si gestisce in modo giuridico e giursdizionalizzato. Le manifestazioni politiche e di piazza, benché legittime e cariche di dignità, non potranno avere alcun effetto reale. Ciò non vuol assolutamente giustificare la decisione politica, a nostro avviso sbagliata, che è stata presa con il Trattato di Maastricht tra il 1989 e il 1992.

 

(1- continua)