In Europa “è aumentato il rischio di una terza recessione, dopo quelle del 2009 e del 2011, tuttavia nel nostro scenario base non crediamo che ci sarà”. È la dichiarazione di Jean-Michel Six, capo economista Emea per Standard & Poor’s. Proprio ieri la Bce ha rivisto al ribasso le stime per il 2014 e il 2015. Secondo l’Eurotower, il Pil dell’Eurozona nel 2014 sarà pari al +0,8%, anziché dell’1% come previsto precedentemente, salendo al +1,2% nel 2015 (anziché all’1,5%). L’inflazione sarà invece dello 0,5% nel 2014 (anziché dello 0,7%) e dell’1% nel 2015 (anziché dell’1,2%). Ne abbiamo parlato con Luigino Bruni, professore di Economia politica all’Università di Milano-Bicocca.



Nel 2015 ci sarà una terza recessione come dice S&P’s?

Dal 2007 è arrivato a maturazione un processo che ha cambiato radicalmente gli equilibri economici del mondo. Non c’è quindi una terza recessione come dice Standard&Poor’s, ma siamo entrati in una fase di nuovo paradigma in cui l’Europa è uscita dalla sua centralità. Ci stiamo rendendo conto di che cosa vuole dire veramente la globalizzazione. Fino al 1850 la produzione mondiale era molto più alta in Asia che in Europa. Dal 1850 al 2010 l’Europa ha superato l’Asia e dal 2011 l’Asia sta tornando a superare l’Europa. Dobbiamo prendere atto del fatto che il mondo che avevamo in mente prima è morto.



Che cosa si può fare per uscire dalla crisi?

Va data risposta a uno dei principali problemi dell’Europa, che soffre molto per una mancanza di bambini e per l’età media sempre più avanzata. In Cina lei trova i manager che hanno 25 anni e le strade piene di bambini. L’Europa ha smesso di fare figli e abbiamo quindi un enorme problema di conflitto generazionale. Oggi pochi giovani trovano lavoro, e quei pochi che lavorano devono mantenere una terza età pensionata molto elevata e insostenibile. Questo tema demografico, unito a quello della globalizzazione, ha creato una situazione molto difficile per l’Europa.



E sul fronte delle politiche monetarie che cosa si può fare?

Pur senza sposare le tesi estremiste di Grillo, l’euro comporta la fine della politica monetaria dei singoli Paesi. L’Italia 20 anni fa, davanti a una crisi di domanda che rendeva difficile vendere i nostri prodotti, poteva utilizzare la leva monetaria stampando moneta e creando inflazione. Oggi abbiamo un’Europa dove l’Italia avrebbe bisogno di stampare moneta e la Germania no. Peccato però che la moneta è unica.

Secondo lei, questa è una crisi soltanto economica e finanziaria?

No, questa è fondamentalmente una profonda crisi di tipo spirituale. A fare grande l’Europa sono stati gli spiriti protestante e cattolico. Senza scomodare Max Weber, il capitalismo europeo è nato dallo spirito profondamente religioso del tempo. Quest’ultimo ha creato virtù civile, capitale e risparmio, in una parola ha creato imprenditori. Lo spirito cattolico, più comunitario, ha creato imprese familiari, banche rurali, distretti economici e cooperative. Oggi tanto il capitalismo protestante quanto quello cattolico sono morti o comunque molto in crisi.

 

Lei quindi che cosa propone?

L’Europa deve ritrovare la sua tradizione cattolica e protestante. Mentre Stati Uniti e Brasile, pur con tutti i loro limiti, hanno ancora un loro spirito religioso, e la Cina vive profondamente una dimensione comunitaria, l’Europa si è smarrita. Il suo individualismo senza radici sta comportando anche la sua crisi economica. Le imprese nascono per grandi progetti collettivi e ideali.

 

Concretamente che cosa comporta il fatto di avere smarrito questi ideali?

Comporta il fatto che i popoli diventano solo consumatori. Se vogliamo uscire dalla crisi, dobbiamo evitare di cadere nell’errore di mettere tutta l’enfasi sui consumi come fa il governo Renzi. Al contrario bisognerebbe scommettere su risparmio e investimenti, che giocano un ruolo ancora più determinante in vista della ripresa.

 

(Pietro Vernizzi)