Il governo Renzi fa cassa grazie ai dividendi delle aziende pubbliche. Gli utili di società quali Eni, Enel, Poste ed Enav sono finite in gran parte nelle casse del Tesoro, anziché essere utilizzati per investimenti o per ridurre il debito delle stesse imprese. Secondo una ricerca dell’Università Bocconi, il Governo è riuscito a ottenere 4 miliardi di euro. Rispetto all’anno precedente in 4 su 12 grandi aziende di Stato il rapporto dividendo/utile è raddoppiato. Nel frattempo il ministero dell’Economia, attraverso un emendamento della Legge di stabilità, ha deciso anche di dirottare alla Tesoreria unica i 14 miliardi della Cassa conguaglio per il settore elettrico (Ccse), alimentata dalle bollette dei contribuenti. Ne abbiamo parlato con Ugo Arrigo, professore di Finanza pubblica all’Università degli Studi di Milano-Bicocca.



Che cosa ne pensa di questo aumento degli introiti del Tesoro grazie ai dividendi delle imprese pubbliche?

Grazie ai dividendi lo Stato reperisce 4 miliardi, pari allo 0,5% della spesa pubblica italiana. Rispetto alle esigenze complessive di copertura della spesa pubblica l’effetto è piuttosto trascurabile. D’altra parte sul deficit annuo 4 miliardi sono una cifra significativa. Ma è un miglioramento dei conti che non deriva dal fatto di gestire meglio la spesa pubblica: si aumentano le entrate sottraendole però alle imprese pubbliche che hanno prodotto quelle risorse. Migliora quindi il saldo di bilancio annuale del settore pubblico, ma alla fine non è una razionalizzazione della spesa.



Lei che cosa avrebbe fatto?

Anziché “spremere” i dividendi, avrei ridotto i soldi che lo Stato eroga alle imprese pubbliche. Invece cioè di mettere le mani in tasca alle imprese efficienti che producono utili, sarebbe meglio controllare i fondi versati alle aziende pubbliche meno virtuose. Sia a quelle nazionali partecipate direttamente dal Tesoro, sia a quelle locali partecipate da Comuni e Regioni. L’ordine di grandezza dei soldi che lo Stato dà alle imprese pubbliche rispetto a quelli che riceve è da 4 a 1, o da 5 a 1.

Tenuto conto che lo Stato vuole solo fare cassa, imprese pubbliche come Eni, Enel, Poste ed Enav non funzionerebbero meglio se fossero vendute a dei privati?



Sono d’accordo ma con qualche avvertenza. Grandi realtà come Enel ed Eni ormai sono imprese di mercato, e quindi anche la proprietà potrebbe essere ripensata. Potrei avere qualche remora sulla parte di approvvigionamento energetico di Eni, dedicata alle esplorazioni e importazioni dai suoi siti sparsi per il mondo.

E nel caso di Enel?

Nel caso di Enel non vedo alcun rischio relativo al fatto che un eventuale acquirente non italiano possa sradicare l’impresa pubblica dal nostro Paese, per servire i clienti esteri. Enel continuerebbe cioè a fare affari con gli italiani. Le aziende più facilmente privatizzabili sono le società delle reti elettriche e del gas, cioè Terna e Snam Rete Gas.

 

Anche Poste sono privatizzabili?

Il caso di Poste è più delicato, soprattutto perché svolge due servizi molto diversi: la consegna della corrispondenza e il Banco Posta. Esistono però imprese di recapito della posta totalmente private, come per esempio quella dei Paesi Bassi.

 

Che cosa ne pensa invece della scelta di trasferire alla Tesoreria unica i 14 miliardi della “Cassa elettrica”?

La Cassa conguaglio del settore elettrico è uno strumento per prelevare i soldi dalle bollette degli italiani e destinarle ad altri soggetti che non sono lo Stato (tra cui sconti i bolletta per i redditi bassi o per chi ha in macchinari energivori indispensabili per la salute). I proventi della cassa non sono però considerate entrate pubbliche da un punto di vista della competenza. Non passano quindi nel bilancio consolidato del settore pubblico. La cassa d’altra parte può avere una giacenza di liquidità, ma sostanzialmente i soldi che preleva dalle bollette li deve restituire ad altri. Non vorrei che in questo passaggio dalle casse pubbliche, l’erogazione dei fondi ai destinatari finisca per essere ritardata sempre di più.

 

(Pietro Vernizzi)

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