“Renzi ha ottenuto che, ai fini della valutazione della posizione del bilancio italiano, si assumesse come valore di riferimento non lo 0%, ma il 3%”. Lo evidenzia il professor Giuseppe Guarino, 91 anni, ex ministro delle Finanze e delle Partecipazioni statali, secondo cui “in punto di fatto Renzi ha rottamato i regolamenti e il cosiddetto Fiscal Compact”. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Di Taranto, professore di Storia della finanza e dei sistemi finanziari alla LUISS di Roma.
Renzi ha davvero rottamato il Fiscal Compact?
Sono d’accordo con il professor Guarino, di fatto Renzi ha messo da parte il Fiscal Compact. Si sta però molto sottovalutando che quando verrà il momento di attuarlo, il Fiscal Compact per l’Italia significherà sacrifici enormi.
Quindi il Fiscal Compact è stato rottamato o soltanto dimenticato?
Renzi non lo ha dimenticato, ma si è limitato a chiedere all’Europa di posticipare di un anno l’attuazione del pareggio di bilancio. Per il resto, tutto rimane esattamente come prima. È evidente che chiedere un rinvio del pareggio di bilancio comporta implicitamente che probabilmente dovrà slittare anche il Fiscal Compact.
Dal punto di vista delle regole Ue, quali sono i punti di riferimento di questa Legge di stabilità?
La Legge di stabilità in questo momento non tiene conto del Fiscal Compact perché ha rinviato il pareggio di bilancio, e ciò significa che in qualche modo è in contraddizione con lo stesso trattato europeo di stabilità. Quest’ultimo prevede che l’Italia abbassi il debito pubblico fino al 60%, ma ciò per il momento non avviene. In modo indiretto, è come se Palazzo Chigi avesse rottamato il Fiscal Compact. Questo però solo formalmente, perché in realtà il Fiscal Compact è ancora lì e a oggi non c’è stato alcun rinvio.
Quindi il nostro Governo sta solo prendendo tempo?
Renzi non sta solo prendendo tempo, ma sta ponendo all’Europa dei problemi teorici relativamente ai parametri, in particolare per quanto riguarda il limite del 3% nel rapporto deficit/Pil. Quest’ultimo è soltanto un parametro inventato, nato ai tempi di Francois Mitterand, e proposto da un direttore generale del Tesoro francese, Guy Abeille. Per questo la battaglia di Renzi è importante, perché oggi si tratta di scegliere tra una maggiore flessibilità rispetto ai parametri o continuare con il rigore. Quest’ultimo è sinonimo di recessione e deflazione, e quindi di una ulteriore disoccupazione.
Il fatto che alla fine Renzi, per accontentare l’Ue, abbia accettato di sottrarre 3,3 miliardi che erano destinati originariamente alla riduzione delle tasse, significa che non sta ponendo una linea alternativa?
No. In questo momento Renzi ha fatto bene ad accontentare l’Ue, perché una linea alternativa non può essere soltanto italiana ma deve essere elaborata dagli Stati del Sud Europa insieme alla Francia. Soltanto quando si sarà consolidata un’alleanza tra più Stati europei, allora si potrà realmente condurre una battaglia per cercare di cambiare questi parametri.
Quale strategia ritiene che debba seguire Renzi per rimettere in discussione le regole Ue?
Purtroppo non c’è una strategia che debba seguire soltanto Renzi, ma occorre concordarla con altri Paesi che si trovano in difficoltà come l’Italia. La verità è che chi vuole lo status quo è la Germania, che non ha alcun interesse a cambiare le regole. Se non ci fosse stato l’euro, il marco si sarebbe rivalutato del 40%. Inoltre, con la moneta unica gli altri paesi non possono più ricorrere alle svalutazioni competitive.
Quali sono state le conseguenze per la Germania?
L’euro ha garantito un monopolio alla Germania che ormai ha superato gli stessi limiti previsti dall’Ue negli ultimi tre anni relativamente al saldo delle partite correnti rispetto al Pil. Negli ultimi tre anni Berlino è stata infatti al 7%. Il saldo delle partite correnti rispetto al Pil della Germania era rimasto costantemente negativo tra 1991 e 2001, quando ha raggiunto il pareggio. Nello stesso periodo era stato invece costantemente positivo per Italia e Francia. Dal 2002, con l’entrata dell’euro come moneta circolante, il saldo della Germania ha iniziato ad aumentare, fino a superare i limiti previsti dagli stessi trattati Ue, mentre quelli di Francia e Italia sono crollati.
(Pietro Vernizzi)