Una buona notizia arriva dal G20. Il famigerato accordo “segreto” per il commercio e gli investimenti transatlantici (Ttip) slitta alla fine del 2015, ha dichiarato Obama. Per il resto il summit ha confermato la potenza economica crescente della Cina e le difficoltà dell’Occidente. La tanto decantata ripresa “vigorosa” americana si legge solo nei numeri di Wall Street ma non si traduce in economia reale e la classe media è sfiduciata. Quanto all’Unione europea, tutti nel consueto ordine sparso al G20, con Draghi che annuncia il solito “trucco” dell’imminente acquisto di debito pubblico da parte della Bce. Borse europee in reazione positiva, ma dalla Germania arrivano crescenti timori che Draghi non sia più la persona giusta alla guida dell’eurozona. Alle ottimistiche parole di Draghi che si autocompiace perché “abbiamo una politica monetaria comune, con regole di bilancio comuni, ora con una unione bancaria e una vigilanza bancaria comune e presto con un mercato di capitali comune”, la Germania non ha risposto ma ragiona seriamente su un modello di eurozona diviso in due aree.
Qualche giorno fa il britannico The Guardian ha titolato che “La Lira sta per tornare”. Con un Pil del 10% più basso del 2008 e un’evidente situazione di stagnazione e isteria sociale, l’Italia vive una situazione pre-rivoluzionaria appena mascherata dalle costanti comparse televisive del premier Renzi che recita il solito copione delle riforme panacea di tutti i mali. Finanche l’anziano garante – il presidente Napolitano – ha gettato la spugna annunciando che si dimetterà poco dopo la fine del 2014. Al suo posto si sono affacciati una pletora di “candidati” talmente leggeri che la loro ombra è invisibile, cosa che è gradita a Renzi che di ombra vuole solo la propria.
I candidati che smentiscono, ma sono i più seri, sono Romano Prodi, Giuliano Amato e Mario Draghi. Il primo sarebbe forse una buona scelta per il Paese, ma né Renzi né Berlusconi lo vogliono, inoltre è troppo amico di Russia e Cina, cosa sgradita a Washington. Il secondo è il sempreverde “dottor sottile” che è preferito da Napolitano ma temuto da Renzi, anche se forse potrebbe accettarlo come garante dell’ignobile patto del Nazareno. La moneta di scambio sarebbe la “grazia” a Berlusconi che Napolitano potrebbe concedere prima di andarsene in cambio dell’elezione dell’amico Amato. Invece, il terzo, Draghi, è il preferito della Merkel, che oltre a liberare la Bce avrebbe in Italia un garante dell’ordoliberismo teutonico. Tra l’altro questa scelta piacerebbe, come la seconda, anche agli americani.
In tutto questo a Bruxelles continua il solito circo del circolatorio Schuman, con un debolissimo Juncker che annuncia piani di rilancio dell’economia con solo 300 miliardi provenienti dal budget comunitario e dalla Bei, ma come dice lui anche da investimenti privati. Ma di fronte a queste panacee, il leader liberale Verhofstadt ha già presentato il suo piano per 700 miliardi basato su tre pilastri: un fondo Ue per gli investimenti, agevolazioni fiscali per famiglie e Pmi, completamento del mercato unico. “Si tratta di uno schema che attrarrà molti investimenti”, ha dichiarato. Per tutto il resto si continua a discettare del nulla cosmico che è sintetizzato dalla parola inglese “comprehensive”, che vuol dire largamente inclusivo. Così tutti i piani e programmi sono “comprehensive”, ma nella sostanza sono ancora gli stessi dei primi anni ‘90.
Intanto, sono falliti i negoziati tra Consiglio, Commissione e Parlamento europeo per l’approvazione del budget Ue per il 2015. La Commissione, peraltro già fortemente criticata dalla Corte dei Conti per “errori e gravi violazioni delle regole contabili”, chiede 5 miliardi in più ai governi che hanno risposto un secco no. Senza questo budget supplementare la Commissione non potrà pagare molti dei contratti in essere, incautamente contabilizzati in deficit.
Il mondo sta cambiando rapidamente, ma l’Ue e il suo Draghi continuano nella favola incantata. Infatti, dalla Russia apprendiamo che sulle forniture di gas concesse fino ad aprile all’Ucraina si aspetta ancora che qualcuno (l’Ue?) paghi il conto in anticipo. Contemporaneamente la Russia e la Cina raddoppiano i legami commerciali bilaterali e insieme hanno creato l’embrione di un sistema finanziario alternativo al Fmi/Banca mondiale. Inoltre, dall’Iran riceviamo segnali che la Russia fornirà 8 nuove centrali nucleari non appena sarà raggiunto – il 24 novembre – l’accordo salva-faccia sul nucleare iraniano. Mentre l’Iran pensa seriamente di accedere allo Sco e al sistema economico russo-cinese, l’Arabia Saudita e la Turchia intendono dividersi le spoglie di quel che gli europei chiamarono Medio Oriente e pensano anche loro a dotarsi di capacità nucleare (civile, beninteso). A questi paesi si aggiunge Israele che, nonostante la diversità religiosa, vuole essere parte di un triumvirato per la spartizione del Medio Oriente, risolvendo, al passaggio, la questione palestinese in modo definitivo. In questo caos generale, l’Ue non sa far altro che parlare di pace e di diritti.
Sulle scelte dei vari leader mondiali che si stanno pre-posizionando in questo caos creato dall’indebolimento americano si può essere critici e facilmente in disaccordo, ma certamente senza una strategia europea – cosa praticamente impossibile – l’Ue è destinata alla marginalizzazione. Un’azione simile si può fare per l’Italia per la quale non a caso Limes ha titolato il suo ultimo numero “Quel che resta dell’Italia”. Ma anche in Italia, come a Bruxelles, abbiamo ancora cantastorie incantati che raccontano dell’ottimismo necessario per avere un futuro migliore. Beati loro!