“La situazione dell’inflazione nell’Eurozona è diventata sempre più difficile”. Lo ha affermato il presidente della Bce, Mario Draghi, nel corso di un convegno a Francoforte, per poi aggiungere di ritenere “improbabile” una ripresa più forte. Il governatore ha aggiunto che l’Eurotower farà “tutto quello che dobbiamo fare per alzare l’inflazione e le aspettative d’inflazione il più velocemente possibile”. Ne abbiamo parlato con Oscar Giannino, giornalista economico.
La situazione è davvero così grave come dice Draghi?
La locomotiva tedesca non sta tirando e ciò fa la differenza rispetto alle attese. I conti fatti quest’anno su quanto perdurasse un buon traino dell’export sono stati ridimensionati dalla crisi russa e dal rallentamento dei Paesi emergenti. Il patto di governo della Germania prevedeva e ha attuato misure di sostegno alla domanda interna, ma tutto ciò non basta.
Quali sono state le conseguenze?
Nel 2014 l’Europa è tornata a essere il grande problema agli occhi di tutto il mondo. Un passo indietro notevole, se si pensa che nel 2012 e nel 2013 Draghi aveva ottenuto grande consenso e riconoscenza, perché l’intervento annunciato dalla Bce rispondeva all’inerzia della politica. Siamo andati avanti un anno e mezzo grazie all’effetto taumaturgico sui mercati delle parole di Draghi. Nel frattempo però anche quest’arma è diventata spuntata, perché oggi le parole di Draghi, anche rispetto alle difficoltà dell’Europa, hanno un effetto sui mercati che si misura in termini di minuti.
Che cosa rischiamo nei prossimi mesi?
Il rischio è che nel 2015 una banca o un hedge found si trovino improvvisamente in difficoltà, e che basti una scintilla di tipo sistemico perché le reazioni del mercato si accentrino sui Paesi più deboli dell’Europa e in particolare sull’Italia. Il nostro Paese è esposto in prima fila in una elevatissima finestra di rischio e le parole di Draghi riflettono questa giusta preoccupazione. L’Italia è il Paese più esposto in assoluto: più di Spagna, Grecia e Portogallo.
La strategia di Draghi mira solo a prendere tempo?
Nel 2012 Draghi ha comprato tempo e lo ha regalato alla politica. Quest’ultima avrebbe dovuto utilizzarlo per riflettere sulle regole del Patto europeo e per introdurre criteri nuovi. Comprare tempo, rispetto a effetti sui mercati che possono essere molto accelerati, è un merito straordinario. Draghi ha inoltre abituato la Bce ad andare avanti con voti a maggioranza e con i tedeschi che molto spesso votavano contro. Ciò con il suo predecessore Trichet sarebbe stato impensabile. Draghi cioè ha abituato la Bce ad assumere decisioni con una regola che nell’Europa politica sarebbe impraticabile.
Quali sono state le doti che hanno permesso ciò a Draghi?
Il presidente dell’Eurotower si è dimostrato capace di grande mediazione, procedendo senza strappi, anche quando ha acquistato e sterilizzato titoli nel 2012, tra cui i 100 miliardi di euro di Btp rilevati dalla Bce dopo la crisi di Berlusconi del 2011. Draghi è arrivato al punto di dire che potrebbe considerare l’acquisto di titoli pubblici, una frase che sfida il divieto di monetizzazione del debito pubblico che è al cuore dello statuto della Bce e dei trattati Ue. Questi fattori confermano che Draghi è un pilastro sostanziale, e invece che indebolirlo i leader dell’Europa meridionale dovrebbero difenderlo in quanto il presidente della Bce ha ottenuto molto di più di quanto ha fatto la politica.
Il Quantitative easing in Europa potrebbe funzionare?
La Banca dei regolamenti internazionali (Bri) ha pubblicato i paper di un incontro che si è tenuto a maggio esattamente su questo problema. Mi ha colpito l’intervento di Francesco Papadia della Bce, un italiano, secondo cui quanti chiedono che la banca centrale si scateni in acquisti per fronteggiare la crisi non vedono che gli effetti del Quantitative easing sono molto diversi contesto per contesto. Sempre per Papadia, chi chiede alla Bce di fare quanto fanno le altre banche centrali si dimentica che noi abbiamo dei vincoli che altri non hanno.
Perché allora negli Usa la ricetta delle politiche espansive è stata efficace?
Perché il Quantitative easing ha sostenuto i prezzi degli asset finanziari. Quasi i due terzi delle famiglie americane partecipano al mercato finanziario, cioè hanno titoli e obbligazioni. Il Quantitative easing della Fed aveva quindi anche un effetto di innalzamento di una quota dei redditi disponibili delle famiglie a fronte del fatto che la quota da lavoro scendeva.
Quali sono invece le differenze del sistema economico europeo?
Nel contesto bancocentrico dell’Europa, dove la partecipazione al mercato finanziario è estremamente più bassa, un Quantitative easing avrebbe effetti molto bassi sui renditi disponibili delle famiglie. L’Italia ha bisogno di interventi che alzino strutturalmente la partecipazione al mercato del lavoro e tentino di affrontare il problema di un reddito disponibile delle famiglie sceso in termini reali del 15%. Insomma, ciò di cui ha bisogno l’Europa non c’entra nulla con il Quantitative easing.
(Pietro Vernizzi)