Vladimir Putin, oltre che un militare, è anche un abile scacchista e sa che le guerre, a volte, si vincono prima di essere combattute. Ecco quindi che il tempo potrebbe volgere a suo favore se la situazione di guerra con l’Ucraina dovesse peggiorare, visto che il Fondo monetario internazionale ha detto chiaramente che la crisi economica e monetaria di Kiev sta già facendo ingolosire i mercati verso la prospettiva di un default del Paese.
Le riserve ucraine, infatti, sono scese a quota 12,6 miliardi di dollari, capaci di coprire più o meno solo sei mesi di importazioni, mentre dopo la fine del cessate il fuoco la valuta nazionale è crollata del 20% sul dollaro, perdendo metà del suo valore da inizio anno: un qualcosa di molto serio, perché con una valuta così debole le aziende e le banche ucraine avranno sempre maggiori difficoltà a ripagare il debito estero di 60 miliardi di dollari su cui siedono. L’economia ucraina dovrebbe contrarsi del 10% quest’anno, il doppio delle stime del Fmi quando venne approvato il primo pacchetto di salvataggio del Paese e nonostante Kiev possa contare su altri 10 miliardi di aiuti internazionali, la loro elargizione è troppo lenta per un’economia che sta già agonizzando.
Per Tim Ash della Standard Bank, «l’Ucraina ha un disperato bisogno di supporto e valuta estera per difendere la sua moneta, ma non c’è abbastanza denaro a disposizione da parte del Fmi. Il rischio di un default sovrano sta crescendo». E infatti il rendimento del bond ucraino a tre anni è salito la scorsa settimana al 17,7%, mentre i credit default swaps sono arrivati a toccare quota 1485 punti base, un livello tipicamente visto come anticipo di una ristrutturazione del debito.
Ed ecco la nemesi, il risvolto kafkiano che potrebbe far vincere la guerra alla Russia facendola combattere dai suoi stessi nemici: potrebbero essere proprio le banche e i fondi speculativi dei paesi che sostengono il regime di Kiev a sbatterla al tappeto, in una sorta di déjà vu di quanto accaduto ad Argentina e Grecia. Con la Banca centrale che ha alzato i tassi di interesse al 14% due settimane fa per cercare di bloccare la fuga di capitali e l’economia messa a terra dalla dipendenza dal carbone e dal comparto industriale del Donbass fuori gioco per il conflitto, molte aziende ucraine stanno già ora combattendo per ristrutturare il loro debito: parliamo della Metinvest, First Ukrainian International Bank e del colosso alimentare Mriya Agro, il cui ceo, Oleksander Cherniavskiy, la scorsa settimana ha candidamente ammesso che «il Paese è in bancarotta». Ed ecco la chiave di volta: il Fmi, ancora una volta, ha commesso l’errore fatto con Argentina e Grecia, ovvero prestare al Paese grandi somme di denaro invece di imporre subito haircuts ai creditori dello stesso, garantendogli una ripartenza grazie all’abbassamento dello stock di esposizione estera.
Con le sue mosse, di fatto, il Fmi ha salvato i creditori – incluse le banche statali russe – alle spalle dei contribuenti, se pensiamo che un fondo di gestione globale come Franklin Templeton aveva in portafoglio bond ucraini per 7,3 miliardi di dollari alla fine dello scorso anno. E lo stesso vale per i cosiddetti “fondi locusta” o volture funds, che hanno comprato debito ucraino praticamente a costo zero per speculare sul breve, scommettendo che la nazione fosse tropo importante in termini geopolitici per poter fallire e che comunque sarebbe stata salvata.
Che farà ora Kiev? Pagherà i creditori o terrà i soldi per comprare armi per difendersi e importare beni, stante un collasso dell’export e un debito estero pari al 75% del Pil? E i creditori stranieri, figli di quel capitalismo marcio in nome del quale si fa la guerra alla Russia, accetteranno di perdere i soldi dei loro investimenti speculativi sull’altare del regime di Kiev o come per Argentina e Grecia vorranno i coupon delle loro obbligazione pagati al 100%, pari passu come impongono le clausole del diritto britannico che le regolano? Insomma, vuoi vedere che gli alleati del fronte della libertà occidentale saranno i primi a sfruttare la situazione, prendendo dalla situazione ucraina tutto ciò che possono agguantare?
D’altronde la cosa non dovrebbe stupire, visto che è della scorsa settimana la dichiarazione informale della Banca centrale ucraina, per bocca di Valeria Gontareva, in base alla quale tutto l’oro del Paese sarebbe di fatto sparito. Dove è finito? In pegno al Fmi come collaterale ai prestiti? Alla Fed come garanzia per il supporto statunitense? No, è di ieri la notizia, contenuta in un comunicato ufficiale della stessa Banca centrale ucraina, che la sparizione dell’oro tale non è ma soltanto una «ottimizzazione delle riserve internazionali». Ovvero? Ovvero a settembre la Banca centrale ucraina ha, guarda caso, deciso di aumentare le sue riserve in dollari – «poiché la struttura della bilancia commerciale del Paese è denominata in dollari per il 70,3% e solo per il 15% in euro», scrive la Banca centrale nel comunicato – e come lo ha fatto? Vendendo il suo oro, proprio nel momento in cui il dollaro si apprezzava sui mercati a livelli che non si vedevano da anni! E poi dicono che i banchieri centrali sono dei pessimi traders. Inoltre, i dati sui nuovi assets delle riserve resi noti si basano sulla review fino a ottobre, quindi vi assicuro che non sto nella pelle in attesa delle nuove cifre di fine anno, viste le parole di Valeria Gontareva all’inizio di novembre.
Sarà, ma temo che Kiev finirà spennata come una gallina, altro che Argentina e Grecia. Nel frattempo, Vladimir Putin, da abile scacchista, aspetta la prima mossa, sia essa quella dell’Opec o dei creditori internazionali o del Fmi. E intanto si prepara a una guerra di lungo termine. Sì, ho detto guerra, se non lo aveste capito bene. Noi, invece, parliamo di articolo 18 e astensionismo elettorale.
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