L’annuncio dato dal nostro primo ministro Matteo Renzi nel corso della riunione dei parlamentari europei socialisti è di grande importanza. Mi riferisco alla notizia che il cosiddetto Piano Juncker di mettere in moto 315 miliardi di euro per “resuscitare” l’economia europea è di quelli che possono segnare una nuova stagione della stessa Ue. Il Fondo europeo per gli investimenti strategici, come viene chiamato, si configura come un piano assai complesso, fondato su una leva finanziaria pubblica relativamente ristretta, circa 21 miliardi di euro, che dovrebbe mobilizzare quote rilevanti di capitali privati tale da raggiungere quell’ammontare di 315 miliardi atti a mettere in moto l’ondata di investimenti diretti ad alimentare nuova domanda effettiva.
Come si sa, tali fondi giungeranno anche da rivoli finanziari diversi, come quelli destinati dall’Ue alle infrastrutture intra-nazionali, alla ricerca scientifica e ai programmi dedicati alla ricerca e allo sviluppo. Naturalmente le aspettative sono elevatissime e si può ben dire che se il piano verrà approvato la Presidenza italiana avrà conseguito una grande vittoria. Resistenze naturalmente in primo luogo vengono dalla Germania che non vuole che la Banca europea per gli investimenti, che è la principale struttura dedicata a mobilizzare tali capitali, perda la sua alta credibilità internazionale espressa dall’alto “credit rating” che detiene.
Naturalmente sappiamo tutti che si tratta di un artificio retorico, perché ciò che i tedeschi temono, come ha già ben espresso la Bundesbank, è che questo Piano Juncker ponga le basi della sconfitta teorica e non solo pratica dell’ordoliberalismus. Principio dell’ordoliberalismus, infatti, che ha trovato applicazione tramite il disastroso Fiscal compact, approvato dagli sciagurati parlamenti europei, è l’assunto che i debiti statuali devono rimanere sovranamente statuali e non invece condivisi: a ciascuno il suo debito, mentre invece si deve condividere con una statualità non più nazionale tutto il resto, a cominciare dalla rigidità monetaria e dall’ineguaglianza dei surplus commerciali che sta massacrando l’intera Europa. Questo Piano Juncker, invece, di fatto pone le basi per una condivisione sovranazionale dei debiti, checché se ne dica.
È quello che il Regno Unito, spaventato dall’avanzata degli antieuropeisti, ha subito intuito, e non sono mancate le esplicite riserve di Cameron. Eppure il Regno Unito non condivide la moneta europea e nemmeno i principi dell’ordoliberalismus, ma ciò non di meno non rinuncia a competere con la sua ondata antieuropeista nazionale sullo stesso terreno della medesima, ossia l’egoismo che non condivide sovranità alcuna.
Anche il Piano Juncker, in fondo, disvela la tragica, inferma, devastante natura della stessa Unione europea. Una natura che non ha avuto eguali in nessun processo di confederazione tra stati. Quando le giovani repubbliche nordamericane si ribellarono a Giorgio III, la prima cosa che i Padri fondatori, di quello che è ancora oggi l’unico impero mondiale, fecero era appunto la condivisione dei rispettivi debiti. E si cominciò a far ciò nel corso stesso della grande guerra di liberazione che segnò l’inizio di un nuovo mondo.
La nostra speranza deve essere che il Piano Juncker sia l’inizio di un nuovo mondo, e non l’ultima catastrofe di un mondo che muore.