A differenza di quanto Renzi continua a sostenere, nel giudizio che la Commissione europea ha espresso rispetto alle Leggi finanziarie 2015 dei paesi membri, l’Italia risulta essere tra i sette che “rischiano di non rispettare i parametri sanciti dal patto di stabilità e crescita”. La Commissione ci invita quindi a prendere le misure necessarie per scongiurare questo pericolo. Sempre secondo l’organo esecutivo dell’Unione europea “l’Italia ha fatto alcuni progressi per quanto concerne la parte strutturale delle raccomandazioni fiscali emanate dal Consiglio nel contesto del semestre europeo, ma deve compiere ulteriori progressi. In questo contesto, politiche volte ad incoraggiare la crescita, tenendo sotto stretto controllo la spesa primaria e incrementando l’efficienza della spesa pubblica contribuirebbero a far cadere in maniera consistente il debito pubblico nei prossimi anni”. Il prossimo esame per il nostro paese è previsto a marzo, quando si farà il punto sullo stato dell’arte delle riforme annunciate da Padoan.
Anche Manfred Weber, Capogruppo del PPE al Parlamento europeo, non ha usato giri di parole: “la decisione della Commissione europea non deve essere male interpretata,”ha avvertito Weber, evidenziando che per Francia e Italia, verso cui l’Ue “si è dimostrata molto paziente” questa è “l’ultima possibilità di correggere il loro percorso, optando per una politica di consolidamento. Ma se questi paesi non colgono questa opportunità il tempo della pazienza sarà finito”.
Il ddl stabilità 2015 è connesso in maniera strettissima alla nostra possibilità di tornare competitivi in tempi brevi e deve sposarsi totalmente con le opinioni pubblicate dalla commissione europea. Al momento sembra soltanto aver peggiorato le condizioni di alcuni soggetti fondamentali per la nostra ripresa economica. Torneremo competitivi solo se verrà seguita una logica di sussidiarietà che all’esame dei fatti non sembra essere minimamente presa in considerazione. Un attento esame del documento ci fa vedere come vengano pesantemente penalizzati sia i comuni che i corpi intermedi, cioè sia la dimensione verticale che quella orizzontale della sussidiarietà.
Il ddl Stabilità 2015 e l’attuazione della “armonizzazione dei bilanci” (d.lgs. 126/2014) comportano un effetto combinato di riduzione delle risorse correnti comunali sul 2015 per oltre 3,7 miliardi di euro; i Comuni rappresentano solo il 7,6 per cento della spesa pubblica totale, e quindi il controllo dei conti dovrebbe essere esercitato sui settori che rappresentano il peso più rilevante della spesa pubblica, in primo luogo le amministrazioni centrali dello Stato (per esempio: gli Enti di previdenza rappresentano il 39 per cento; lo Stato il 29,9 per cento); dal 2009 al 2012 i tagli centrali hanno registrato un’incidenza sulla spesa primaria dei Comuni pari al 14,3 per cento, mentre su quella statale solo del 12 per centro (Fonte: rapporto Copaff).
Il Presidente Renzi ha annunciato recentemente ben 18 miliardi di riduzioni fiscali, peccato che anche su questo punto ciò che c’è scritto nelle leggi da lui prodotte lo smentisca in maniera imbarazzante: nella nota di aggiornamento del documento di economia e finanza infatti è scritto a chiare lettere che entro il 2018 è previsto un aumento della pressione fiscale, dai 781 miliardi del 2013 agli oltre 850 miliardi di fine legislatura. Oltre 72 miliardi in più peseranno sulle spalle dei contribuenti italiani.
Tra le pieghe della Legge di Stabilità si nasconde una norma che, secondo quanto previsto dal disegno di legge, porterebbe un taglio anche alla formazione continua.
Il DDL Stabilità 2015 prevede, con effetto dall’anno 2015, il versamento all’entrata del bilancio dello Stato, da parte dell’Inps, di 20.000.000 euro per l’anno 2015 e di 120.000.000 euro a decorrere dall’anno 2016 a valere sulle risorse derivanti dall’aumento contributivo dovuto per l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria; in sostanza tali risorse gravano sulle quote destinate ai fondi interprofessionali per la formazione continua. Attualmente ve ne sono 21 in Italia – e sono organismi di natura associativa promossi dalle organizzazioni di rappresentanza delle Parti Sociali con la finalità di raccogliere e stanziare fondi per la formazione dei dipendenti aziendali. Finanziano piani formativi aziendali, settoriali e territoriali,che le imprese in forma singola o associata decidono di realizzare per i propri dipendenti.
All’interno Legge Stabilità è altresì disposto un ulteriore prelievo sulle Fondazioni di origine bancaria, dopo quello già avvenuto a luglio e negli anni precedenti. Infatti, continua a crescere la loro tassazione in una impressionante progressione che, in cinque anni, è così quantificabile per quel che riguarda, per esempio, la Fondazione Cariplo, come ha denunciato recentemente il presidente Guizzetti: per l’anno 2011 100 milioni di euro, per il 2012 170 milioni di euro, per il 2013 170 milioni di euro. La stime per il 2014 e 2015 ci dicono rispettivamente 340 e 360 milioni di euro.
Questo è il risultato dell’effetto combinato dell’aumento degli oneri sui rendimenti derivanti dagli investimenti finanziari – passati dal 12,5% al 20% nel 2012 e poi al 26% nel luglio 2014 – e l’ulteriore aggravio sulle rendite finanziarie che emerge dal ddl. Inoltre la prospettata decorrenza retroattiva dal 1° gennaio 2014 rischia di impattare sul sostegno ad attività già programmate. Le Fondazioni di origine bancaria sono soggetti non profit, privati e autonomi che svolgono diverse attività sprigionando ingenti risorse in favore di soggetti privati o pubblici, dando un incessante sostegno allo stato assistenziale, all’integrazione, arrivando spesso e volentieri laddove lo stato non arriva. Spremere a tal punto queste realtà con aumenti di tasse oggettivamente insostenibili significa tagliare gli aiuti alle categorie più svantaggiate, ma anche alla ricerca e alla cultura.
Questo esempio ci indica come la logica seguita dal Governo non solo è antisussidiaria nel senso che non favorisce i soggetti non-profit che aiutano il paese e i cittadini con diverse attività a carattere sociale, ma anzi è una logica addirittura punitiva se la confrontiamo con il trattamento riservato ai soggetti profit, che non reinvestono un solo euro in favore della collettività.
Speriamo che l’esame di Camera e Senato ci restituisca una legge di stabilità più disposta allo sviluppo e meno segnata dallo statalismo.