Renzi parlando a Milano all’assemblea dell’Anci dice che “l’Europa non è fatta solo di burocrati”, e intanto il presidente finlandese, Sauli Niinisto, gli risponde che “dal 2007 aspettiamo che l’Italia faccia le riforme”. Un’affermazione fatta per spiegare la ragione per cui nel 2002 fu concesso alla Germania di violare il Patto di stabilità, mentre oggi non si consente di fare altrettanto anche all’Italia. E sul fatto che il nostro Paese possa riuscire a soddisfare i requisiti Ue, Niinisto spiega: “Sono un po’ scettico, ma non solo per l’Italia” bensì anche per altri Paesi, in quanto “ho la sensazione che l’Italia abbia lo stesso problema, cioè quello di implementare le misure di riforma”. Ne abbiamo parlato con Francesco Forte, ex ministro delle Finanze.



Perché l’Italia non riesce a fare le riforme? Sono i vincoli Ue a impedirci di completarle?

Al contrario, le regole europee dovrebbero indurci a fare le riforme. Anche perché al livello europeo è previsto il diritto ad attuare deficit di bilancio in periodo congiunturale, se questo serve a stimolare la crescita. Vero è anche che a livello europeo non si parla mai in modo chiaro, come documentano le dichiarazioni del presidente della Finlandia, Sauli Niinisto.



In che senso?

L’Europa dovrebbe semplicemente dire che l’Italia non ha riformato i contratti di lavoro. Dire invece “dal 2007 aspettiamo che l’Italia faccia le riforme” è un’espressione così generica che ci si chiede se dalle parti di Helsinki o di Bruxelles parlino arabo. Sarebbe stato molto meglio se Niinisto avesse detto che cosa voleva.

È compito delle istituzioni Ue dire all’Italia che cosa deve fare?

Nella lettera al governo Berlusconi nell’estate 2011, Draghi e Trichet scrissero che volevano due cose: la riforma del mercato del lavoro e lo stanziamento di investimenti per una politica di sviluppo. Oggi invece i burocrati Ue non ci dicono né che cosa vogliono, né che cosa dobbiamo fare. Un esempio è particolarmente evidente.



Quale?

Fonti riservate hanno fatto sapere che la Commissione Ue avrebbe bocciato l’output gap adottato da Padoan come criterio per la Legge di stabilità, chiedendo una correzione pari allo 0,3% del rapporto deficit/Pil. Eppure, ed è questo il vero paradosso, in nessuna delle lettere o delle dichiarazioni Ue leggerà che l’output gap non va bene.

Che cosa dovrebbe fare la Commissione Ue?

Se al posto dei burocrati Ue ci fosse una persona normale e con una modesta laurea, dovrebbe dire: “L’Italia ha commesso tre errori: non ha fatto la riforma del mercato del lavoro, non ha un sistema legale e operativo per fare più investimenti, sfora il deficit/Pil dello 0,3% in più del consentito per via dell’output gap”. Ciò che non è riuscito alla Commissione Ue, è stato fatto con precisione chirurgica da parte della Banca d’Italia e dell’Istat. E lo stesso presidente della Commissione per l’ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro, nominato dal governo Renzi, ha fatto a pezzi il meccanismo dell’output gap scelto da Padoan.

 

Perché secondo lei l’Europa non parla in modo chiaro?

A Bruxelles evidentemente si pensa che l’Italia sia il Paese delle banane. La conseguenza però è che in questo modo si dà spazio a un demagogo come Renzi, che si mette a polemizzare contro Juncker facendogli gli sberleffi. Quello mostrato al mondo intero non è stato certo un bello spettacolo.

 

La colpa è solo di Renzi?

Renzi ha le sue responsabilità, ma anche nel comportamento dell’Ue ci sono due aspetti vergognosi. In primo luogo, a Bruxelles sembra che ci siano o degli incompetenti o delle persone che si divertono a scrivere cose così vaghe che non farebbero onore neanche a un amministratore di condominio. In secondo luogo, la Germania continua a bloccare Draghi, facendogli perdere tempo prezioso: un comportamento che forse rientra in una tattica tedesca finalizzata a rallentare tutto. Se i vertici europei sono così generici, pasticcioni e in grado di esprimersi solo in politichese vecchio stile, di certo non saranno in grado di aiutare l’Italia ad ammodernarsi.

 

(Pietro Vernizzi)