Il famoso parametro del 3% del deficit sul Pil sta creando scompiglio non solo in Europa, ma anche in Italia. Matteo Renzi non è nuovo a retromarce e inversioni a U, ma, approfittando delle ben note “amnesie” degli italiani, lui e il suo governo riescono a dire tutto e il contrario di tutto nell’arco di poco tempo.
Andiamo con ordine. Marzo 2014: al suo primo Consiglio europeo, il Premier, che ha ottenuto l’incarico da poco meno di un mese, spiega che il parametro europeo del 3% è “oggettivamente anacronistico”. In molti pensano che finalmente un importante Paese dell’Eurozona sia pronto a sfidare uno dei grandi tabù teutonici, forte anche del suo ruolo di terza economia dell’Ue.
Non è così, perché, proprio prima di assumere la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione europea, Renzi chiarisce che l’Italia non chiederà di “violare la regola 3%” (aggiungendo, “a differenza di quello che fece la Germania in passato”). Tuttavia nell’occasione il Premier ha l’idea di richiedere, per quei paesi che si impegnano a fare riforme, “flessibilità”, termine che per diverse settimane porta esperti e opinionisti a interrogarsi sul suo reale significato. Si vuol ottenere un piccolo sforamento in cambio di importanti cambiamenti? Il “rebus” dura poco, perché dalla Commissione europea arriva un no di fatto a qualsiasi sforamento. Il neo presidente Jean-Claude Juncker fa solo intravvedere la possibilità che i contributi degli stati al piano europeo di investimenti (21 miliardi che chissà come diventano 300 e passa) non vengano conteggiati nel deficit e nel debito pubblico.
Qualcuno però non ci sta e decide di sforare il “sacro 3%”: siamo ai primi di ottobre e la Francia (dopo che a fine agosto si era aperta una crisi di Governo a causa delle dichiarazioni anti-austerity del ministro dell’Economia, Arnaud Montebourg), nel presentare la sua Legge di stabilità, annuncia un deficit al 4,4% del Pil nel 2015 (e del 3,8% nel 2016). Renzi ne approfitta per dare tutto il suo appoggio a Parigi, criticata da Berlino. Salvo poi specificare che “rispetteremo il 3%”. Dopo qualche giorno, però, alla Cnn, il Premier italiano dichiara che “il 3% è un parametro del passato”.
Quel che conta è in ogni caso la Legge di stabilità, con la quale l’Italia a metà ottobre si impegna, nei fatti, a non sforare quel parametro ritenuto, a parole, inutile e anacronistico. Almeno fino a ieri. Negli ultimi sprazzi di presidenza italiana dell’Ue, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha infatti detto: “Pensare che sfondare il tetto del 3% possa portare più crescita è profondamente sbagliato”.
Che succede? Sbaglia Renzi a dare ragione alla Francia e a ritenere quel tetto assurdo o sbaglia il suo ministro che logica vorrebbe essere sulla stessa posizione del Premier su un tema così importante e a lungo dibattuto? Ci sentiamo di lasciare ai posteri l’ardua sentenza, potendo contare sui dati che nel 2015 saranno diffusi da Italia e Francia circa il loro Pil. Allora vedremo se sforare il tetto del 3% può portare o meno crescita. Sempre che gli italiani si ricordino ancora delle parole di Padoan.