Italia e Francia facciano le riforme promesse o si troveranno di fronte “a un inasprimento della procedura sul deficit”. Lo ha dichiarato Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione Ue, secondo cui “se alle parole non seguiranno i fatti, per questi paesi non sarà piacevole”. Al termine dell’incontro con la direttrice del Fondo monetario internazionale (Fmi), Christine Lagarde, il presidente del Consiglio Renzi ha replicato a indirettamente a Juncker, dicendo ai suoi collaboratori: “Se perfino il Fmi, che non è esattamente una sezione del Partito Comunista a Washington, chiede all’Europa di investire sulla crescita, qualche domanda i partner Ue dovranno pure cominciare a farsela”. Ne abbiamo parlato con Giulio Sapelli, professore di Storia economica all’Università di Milano.
Che cosa ne pensa delle affermazioni di Juncker su Italia e Francia?
Juncker è un demagogo stupefacente, perché fino a poco tempo fa i rapporti tra il presidente della Commissione Ue, da un lato, e Italia e Francia, dall’altro, erano ottimi. L’Italia aveva contribuito decisamente alla nomina del presidente, rinunciando a commissari importanti. Il motivo è che c’era un accordo con Juncker relativo al fatto che investimenti da alcune centinaia di miliardi di euro avrebbero avuto ricadute positive tanto per Roma quanto per Parigi.
Perché le parole di Juncker arrivano proprio ora?
Questa reprimenda mi pare quindi assolutamente fuori luogo e per certi versi inspiegabile. Fa il paio con quanto ha dichiarato martedì il ministro Padoan, secondo cui non si può assolutamente superare il 3%. Quello di Juncker è un attacco proditorio e una mancanza di rispetto dei patti che avevano condotto alla sua elezione.
La presa di posizione di Juncker nasce dal fatto che l’Italia è nell’occhio del ciclone?
Che l’Italia sia nell’occhio del ciclone è una convinzione dei tedeschi e dei suoi alleati del Nord Europa. Il nostro è un Paese che ha tra i deficit più bassi in Europa, pur avendo un debito elevato. Godiamo di un avanzo primario notevole, la ricchezza delle famiglie è solida, le banche sono uscite abbastanza bene dalla prima fase di crisi. Il nostro è un Paese gravemente colpito nel suo cuore di produttore manifatturiero, e che cercava nel piano Juncker un modo per ricostruire la domanda perduta.
Quanto rischia l’Italia?
Non mi sembra che l’Italia sia particolarmente a rischio. Lo spread è ai minimi, la fiducia degli investitori stranieri è buona. Piuttosto è Juncker ad avere dei problemi con la Germania, che gli rimprovera di avere posto le basi per il piano di investimenti da 300 miliardi che chiaramente va contro tutti i principi dell’“ordoliberalismo”.
Di che cosa ci sta minacciando Juncker con il suo “non sarà piacevole”? Di fare arrivare la Troika?
Sì, la minaccia riguarda l’invio della Troika. Una persona che occupa una carica istituzionale non può fare una dichiarazione di questo tipo, che esprime tutto il degrado della classe politica dominante che ha in mano l’Europa. “Non sarà piacevole” è un linguaggio che va bene per minacciare dei bambini, non per parlare a dei gentiluomini, né tantomeno alle nazioni. L’Europa è in mano a una banda di maleducati, i quali non sanno come ci si comporta nelle istituzioni. Quello di Juncker mi ricorda il linguaggio delle SS, delle Camice brune o di Mussolini dopo il delitto Matteotti. Di fronte a un personaggio come il presidente della Commissione Ue, non posso che dire che spero di morire prima di vedere le conseguenze delle sue parole e azioni per l’Europa.
Renzi, dopo aver incontrato la Lagarde, avrebbe detto: “Se perfino il Fmi, che non è esattamente una sezione del Partito Comunista a Washington, chiede all’Europa di investire sulla crescita, qualche domanda i partner Ue dovranno pure cominciare a farsela”. È d’accordo con il premier?
Il presidente del consiglio ha detto una frase molto giusta e appropriata. Il Fondo monetario è molto più vicino all’orientamento degli Stati Uniti. Andrebbe preso in altrettanta considerazione anche il documento pubblicato dall’Ocse sulla disuguaglianza in aumento e sulla crescita bloccata in Europa. Per comprendere che cosa sta avvenendo basta leggersi il libro di Timothy Geithner, “Stress Test”, in fondo al quale c’è un grafico molto interessante che mostra le conseguenze delle due vie, quella seguita dall’Europa e quella degli Stati Uniti.
(Pietro Vernizzi)