Una mera coincidenza casuale? Si potrebbe pensare. Tuttavia, è curioso che proprio nei giorni di vigilia dell’ultimo Consiglio europeo a presidenza italiana (il prossimo avverrà almeno tra quattordici anni) uno dei più noti, se non più autorevoli, economisti europei, Daniel Gros, direttore del Center for european policy studies, divulghi un’analisi (il Ceps Policy Brief No. 326) che contraddice una delle linee di fondo dell’azione dell’Italia negli ultimi mesi.
E anche curioso che in parallelo, sempre sabato 13 dicembre, quando nei Paesi nordici si festeggia Santa Lucia al lume di candele, Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, in un’intervista a Repubblica, non a un quotidiano o periodico tedesco, si scagli apertamente contro il Presidente della Banca centrale europea (Bce) Mario Draghi affermando: “L’acquisto di titoli sovrani nell’Eurozona è da valutare diversamente che in altre aree valutarie”. “In Europa accanto alla politica monetaria comune abbiamo 18 Stati con politiche finanziarie indipendenti e rating e situazioni di debito ben diversi. Ciò crea tentazioni di indebitarsi di più e scaricare le conseguenze sugli altri”. Frase non solitaria – Weidmann è considerato il proprio faro da un gruppo di Governatori di banche centrali europee – e con la quale si intende seppellire, una volte per tutte, quelle manovre monetarie “non convenzionali”, altro punto di fondo del semestre in cui l’Italia ha avuto l’onere di guidare gli organi di governo dell’Unione europea.
Ancora più curioso, infine, che il lavoro di Gros e l’intervista di Weidmann avvengano proprio mentre a Roma, il 12 e il 13 dicembre, si teneva una conferenza su “Investire sull’Europa a lungo termine”, in cui si sono alternati sul podio o nelle tavole rotonde circa quaranta relatori, tra cui due Ministri in carica, due Commissari europei, il Vice Segretario Generale dell’Ocse ed esponenti non solo delle maggiori istituzioni internazionali ma anche di quella che viene comunemente chiamata “società civile”.
Gli argomenti di Weidmann non solamente riflettono un punto di vista espresso, in maniera più sfumata, altre volte e chiariscono le posizioni assunte il 4 dicembre al Consiglio Bce, ma avvengono proprio mentre si paventa una nuova crisi greca, di cui, secondo studi interni della Bundesbank, l’Italia potrebbe essere la cinghia di trasmissione che contagerebbe il resto d’Europa.
Più complesso il lavoro di Daniel Gros, in quanto avanza un’ipotesi intrigante: il tanto lamentato declino del tasso d’investimento dal 2007 (particolarmente accentuato in Italia e altri paesi dell’Europa meridionale) sarebbe più fittizio che reale, poiché negli anni precedenti la crisi l’investimento sarebbe stato drogato da un eccesso di liquidità e di credito. Inoltre, un aumento dell’investimento avrebbe pochi effetti in un’Europa la cui popolazione e il cui apparato produttivo sono in veloce invecchiamento e in cui la produttività totale dei fattori produttivi ristagna. “Di per sé – afferma Gros in toni un po’ apodittici – la riduzione della produttività totale dei fattori produttivi abbassa il tasso d’investimento”.
Non è questa la sede per indicare come la conferenza sugli investimenti a lungo termine del 12-13 dicembre a Roma (gli atti saranno tra breve disponibili sul sito della Federazione delle Banche, delle Assicurazioni e della Finanza) abbia implicitamente risposto a queste critiche, specialmente alla seconda. In una fase come l’attuale, nell’eurozona, un aumento dell’investimento a lungo termine è essenziale sia per una migliore utilizzazione, nel breve periodo, della capacità di produzione, sia per un aumento, nel medio e lungo termine, della produttività dei fattori. Su questo punto, al convegno di Roma, la risposta è stata unanime. Soprattutto ha riguardato non solo l’infrastruttura tradizionale (strade, ponti, aeroporti), ma anche le reti e l’infrastruttura sociale (scuole, giardini d’infanzia, ospedali, social housing).
È difficile dire se l’appello per una politica di crescita imperniata sull’investimento di lungo periodo sia un esito del “semestre italiano” oppure il frutto dell’esigenza fortemente sentita che l’Europa riprenda a crescere. È certo comunque che se non si investe non si produce per il futuro e non si cresce.