Se dovessimo fare un bilancio del semestre italiano alla Presidenza dell’Unione europea (che si avvia ormai a conclusione) potremmo riassumerlo con un giudizio di stampo filosofico: si attende il passaggio dalla potenza all’atto. Al di là delle retoriche oppure di sberleffi ingiusti, non si può negare, per esempio, che la nomina del Ministro Mogherini a rappresentante internazionale dell’Europa sia un fatto molto positivo per l’Italia. Si riconosce a essa un ruolo internazionale. In potenza, appunto, tuttavia, perché sino a quando non esisterà un esercito europeo non solo franco-tedesco, questo riconoscimento non sarà operativo. Senza politica di potenza, nessuna politica estera europea.



Dato che nessuno in Europa vuole rinunciare al burro per i cannoni, anche da questo punto di vista, la politica dell’austerità deve essere posta in discussione. Questa messa in discussione è stata il risultato più rilevante della Presidenza italiana. Anche qui, però, si è trattato di un mutamento di opinione generale. Il peso degli Usa si è fatto più sentire anche grazie al ruolo della Presidente del Fmi Lagarde, che ha appoggiato esplicitamente la fuoriuscita dalla deflazione recessionista tramite una politica economica che, piuttosto che keynesiana, dovremmo definire ecletticamente non ortodossa. Ma anche qui la potenza stenta a tradursi in atto.



L’esempio preclaro è il piano Juncker su cui già molto si è detto ed è inutile insistere. Ma val la pena di dire ancor due cose. La prima è che si tratta di un piano di leverage o di projet financing che, su una base ristretta di soldi solidali, comunitari, dovrebbe stimolare colossali investimenti privati finalizzati a progetti presentati dai singoli stati alla Commissione. Un marchingegno che consegna molto potere ai commissari e alla tecno-struttura. Tecnostruttura in merito a cui l’Italia è debolissima, dinanzi a una schiacciante egemonia numerica e culturale ordo-teutonica.

Questo è il risultato più debole raggiunto dal punto di vista pratico, anche se non v’è dubbio che il governo Renzi ha imposto un’inversione culturale che sta avendo qualche risultato anche negli stessi ambienti intellettuali tedeschi, non anti-euro, ma pro-modifica dei trattati.



Vengo così al secondo punto. Il ghigno sprezzante di Juncker, che ha insultato italiani e francesi ripetutamente, rivela nervosismo e preoccupazione oltre che una maleducazione intrinseca che rende manifesto il degrado culturale delle marionette dei gruppi dominanti europei di cui Juncker è un preclaro rappresentante. Ma questo rivela che, per merito di Renzi e del suo governo, è cominciata una lotta per l’egemonia culturale sulla politica economica europea.

Questo richiama tutti a doveri non conformistici e a quella laica virtù che, se uno non ce l’ha, non se la può dare: il coraggio, il manzoniano coraggio.