È vero: la crisi in Italia è sempre più forte. Le aziende chiudono o vanno all’estero ed è, nonostante i ripetuti proclami, sempre più difficile fare impresa. Siamo ultimi in Europa per corruzione percepita, come mostra il rapporto di Transparency International, e chi lavora nelle società italiane e nel settore pubblico crede vi sia molta meno meritocrazia rispetto a chi è occupato in aziende multinazionali, come mostra l’ultima ricerca del Forum della Meritocrazia.
Allo stesso tempo, però, fioriscono in tutto il Paese isole di cambiamento, di eccellenza e d’innovazione, come necessaria evoluzione alle difficoltà poste dal contesto. Nel settore pubblico, come nelle imprese e nelle università, nascono piccoli e grandi progetti, semi di futuro, che raccolgono le risorse qualificate sparse qua e là e le mettono a fattor comune. Quest’opera meravigliosa avviene spesso nell’assenza di supporto istituzionale e nel silenzio dell’informazione.
Come fare perché questo movimento di cambiamento diventi maggioranza nel Paese? Ci sono tre elementi che, a mio avviso, devono essere potenziati: il supporto e consolidamento di una cultura del merito, il rifiuto di falsi miti dei soliti “distrattori di massa” e l’innalzamento della qualità dell’educazione e dell’informazione.
Per favorire una cultura del merito bisognerebbe, per esempio, fare una vera management review nella Pa e nelle aziende partecipate dallo Stato identificando, valorizzando e attraendo talenti e mettendoli in posizione di responsabilità. Molti proteggono diritti acquisiti senza discutere se siano meritati e se siano utili allo sviluppo, in questo modo minando e ritardando la possibilità delle organizzazioni di svilupparsi. Anche le situazioni più paradossali sono tollerate per non turbare lo status quo, mentre vi sono esempi di qualità e di evoluzione che vanno lasciati liberi di esprimersi e di crescere, risolvendo in modo chiaro e netto le situazioni di spreco e di mediocrità.
Non credo che in tal senso faccia bene assorbire precari solo per assegnargli un posto di lavoro fisso o cercare un paracadute per i dipendenti delle Province verso i Tribunali o verso altri enti invece di pensare a dotare gli enti nel modo corretto e a misure di riqualificazione per chi perde il lavoro. Allo stesso modo non fa bene la tendenza della classe dirigente, politica e non, a continuare nel sistema di cooptazione della persona di fiducia, del famigliare o del compagno di partito in spregio della competenza e dei risultati ottenuti. In questo modo si deteriorano situazioni già complesse invece di imboccare la via della professionalità. Vanno invece esplicitati i bisogni delle organizzazioni in termini di professionalità, energie e soluzioni, e garantite queste risorse con piani di lungo termine e obiettivi chiari.
Ci sono poi quelli che chiamo “distrattori di massa”, che dappertutto “distraggono” il dibattito e l’opinione pubblica dai problemi reali. Dicono che il problema è l’euro, senza considerare che la nostra crisi inizia da prima; dicono che il problema sono le banche e la finanza, quando i tassi d’interesse non sono mai stati così bassi; dicono che il problema è l’immigrazione, quando i nostri tassi di immigrati sono in linea con quelli di altri paesi vicini; dicono che il problema è l’austerità, quando spendiamo ancora più di 800 miliardi di spesa pubblica e l’elenco potrebbe continuare. Non si può dire che non ci siano grandi problemi negli ambiti ricordati, ma vanno risolti con più merito, più competenza, più concretezza e non con generici annunci. Il punto non è cosa fare, ma farlo veramente e in modo corretto.
Il terzo problema sono i media, soprattutto televisivi, che continuano a mostrare un’immagine del Paese minoritaria ma populista e conservatrice. Nonostante il calo degli ascolti dei talk show continuiamo a sentire gli stessi ospiti che raccontano una realtà spesso fuorviante e deprimente. Così per una settimana abbiamo parlato di “Mafia Capitale”, come qualche mese fa del Mose e di Expo. Così la politica a ogni scandalo promette un “giro di vite” per accontentare l’opinione pubblica invece di lavorare perché questi scandali si evitino. La sfiducia generata dagli scandali impedisce di vedere senza sospetto i tanti modelli positivi che ci sono nel Paese e che vanno comunicati in modo ampio e insegnati nelle scuole. Molto più spesso si dovrebbero mostrare i tanti esempi positivi e virtuosi di imprenditori, manager, cittadini che continuano a risolvere problemi e a portare buoni esempi.
Ci sono, infatti, moltissime persone che in un contesto complicato investono, progettano, studiano, creano nuovi servizi, soluzioni e prodotti e che, invece di essere gratificati, vengono investiti di scetticismo, critiche e ostacoli di ogni genere. Non hanno bisogno di sussidi, diritti acquisiti o rappresentanti, ma solo di condizioni di contesto fiscali, burocratiche e legislative ragionevoli in cui far crescere le loro iniziative.
Da questo punto di vista, il Governo deve uscire dalla “trappola” dell’emergenza, per continuare il processo di cambiamento del Paese un po’ rallentato da riforme istituzionali ed equilibrismi politici. Nel complesso, infatti, serve una grande determinazione e focalizzazione per fare leggi che rendano la Pa e le partecipate una risorsa per il Paese invece che un ammortizzatore sociale e leggi sul lavoro che rendano possibile premiare il merito e sanzionare il demerito, anche tramite il licenziamento individuale per scarsa produttività. Serve un investimento pubblico nell’identificazione e comunicazione di modelli positivi che le persone possano seguire e attenta sorveglianza sui casi di “cattiva informazione”.
La Politica deve sacrificare la ricerca del consenso in nome di un progetto per il futuro del Paese. Gli effetti delle buone scelte si vedono nel tempo e la classe dirigente del Paese è molto ben retribuita anche per sopportare le critiche e le tensioni che derivano da scelte impopolari. Non resta che attendere pazientemente che la realtà ci dia ragione, aspettando che i semi del cambiamento diventino esempi solidi a cui anche i più ostinati sostenitori della peggiocrazia si possano aggrappare.