Lo ripeto per l’ennesima volta, poiché sembra che sempre più spesso occorra difendere l’ovvio e le verità più semplici. Se non c’è un calo della disoccupazione, se non tornano ad aumentare gli occupati e quindi non tornano ad aumentare i soldi in mano ai consumatori abituali, non ci può essere vera ripresa. Ogni ipotetico valore di ripresa, permanendo e aumentando la disoccupazione, può essere ottenuto solo con elaborazioni contabili, cioè con trucchi sui numeri.
Occorre ribadirlo, dopo che il Centro studi di Confindustria nel suo ultimo rapporto prevede per il Pil italiano una chiusura del 2014 a -0,5%, poi la ripresa con un +0,5% nel 2015 e un +1,1% nel 2016. Lo stesso rapporto cita quattro elementi che dovrebbero sostenere questa ipotetica ripresa: la svalutazione del cambio, l’abbassamento del prezzo del petrolio, l’incremento del commercio internazionale grazie alla crescita Usa e alla mitigazione dei conflitti internazionali, infine il miglioramento del credito a imprese e famiglie.
Ora già da questi elementi vediamo subito che non si fa alcun accenno a un aumento dell’occupazione. Ma allora come sarà possibile una ripresa reale? E pure gli elementi citati contengono delle forti criticità. Tanto per cominciare, il cambio dell’euro in ribasso per i prossimi due anni è un elemento totalmente aleatorio e imprevedibile. Poi il petrolio in ribasso è un elemento favorevole, ma non così importante da determinare un miglioramento significativo; se poi ci aggiungiamo la debolezza dell’euro (che vuol dire un dollaro forte) e consideriamo che il petrolio si paga in dollari, il contributo di questo elemento rischia di essere del tutto marginale. Pure la questione della crescita trainata dagli Usa è un elemento veramente aleatorio (la ripresa Usa potrebbe avvenire per maggiore esportazioni in altri paesi, come quelli sudamericani o asiatici). Infine, si cita il miglioramento del credito per imprese e famiglie, proprio quando sappiamo che le sofferenze bancarie italiane hanno raggiunto un nuovo massimo di 180 miliardi di crediti di difficile esigibilità.
Insomma, molte valutazioni ma nessuna certezza. O forse certezza di previsioni fasulle, alle quali il Centro studi sembra abbonato, insieme a tanti altri nomi altisonanti (come Ocse e Fmi). Per esempio, nel giugno 2013 sempre il Centro studi di Confindustria prevedeva il Pil del 2014 a +0,5% (e invece ora dice a -0,5%). E nel giugno 2012 la previsione per il 2013 era a -0,3% (invece è stato -1,9%). E si potrebbe continuare così indietro nel tempo fino al dicembre 2008, quando veniva previsto il Pil a -1,3% e al +0,7% per 2009 e 2010 (furono a -4,6% e -0,9%).
Sbagliare è umano, ma perseverare è diabolico, come recita un antico proverbio. Ma come fanno a sbagliare così tanto? E come fanno a non porsi la fondamentale domanda, cioè se i modelli interpretativi della realtà (economica in questo caso) non siano da buttare? La difficoltà a cambiare così drasticamente un modello di pensiero è tanto più alta quando è presente un preciso modello ideologico. Non si tratta qui di cambiare semplicemente un formula, ma di rinunciare a un’ideologia, sulla quale magari si sono costruite importanti carriere professionali e si sono fatti grossi sforzi culturali. La stessa ideologia ottusa e cieca che pretende di comprendere e risolvere le questioni del mondo con una formula.
Un altro esempio eclatante di questo percorso ideologico è la vicenda del Bitcoin. Proprio un anno fa veniva incensato come nuovo fenomeno monetario e finanziario, che ben presto avrebbe cambiato per sempre le questioni relative a finanza e commercio: finalmente una moneta, si diceva, smarcata da una qualsiasi banca centrale, da un qualsiasi controllo di poteri forti. Una sorta di moneta popolare, si diceva.
Già, ma quale tipo di moneta? Una moneta generata da un algoritmo matematico, processato da un software. Quindi è assente una qualsiasi scelta ideologica. Ma anche questa è una precisa scelta ideologica, di stampo nichilista. Ora a distanza di quasi un anno, c’è chi parla del Bitcoin come del peggiore investimento dell’anno, visto il calo del 52%. Cancellata ogni ideologia, visto che quelle provate hanno dato risultati disastrosi, cosa resta infatti, se non la pura speculazione, cioè il puro interesse finanziario?
Occorre invece, ormai è sempre più evidente, una moneta ancorata a precisi valori di riferimento, valori che abbiano a che fare con il bene comune. Ci vuole una moneta di Stato. E una banca centrale che sia prestatore di ultima istanza, in modo che lo Stato non possa mai trovarsi in difficoltà, qualsiasi tempesta finanziaria possa accadere all’estero. Oggi invece siamo alla deriva, in balia delle onde mosse da interessi stranieri. Grazie all’euro.