Non sappiamo se a Bruxelles hanno inforcato gli occhiali “arcigni” per esaminare La legge di stabilità dell’Italia quale approvata dalle Camere e promulgata. È probabile che sia stato fatto. Ma non detto. Non si vuole certo mettere altra benzina sul fuoco in un momento in cui, dentro la stessa maggioranza, ci sono polemiche (ove non proprio veri contrasti) sui primi decreti applicativi del Jobs Act. Inoltre, si sta entrando in alcune settimane molto difficili con l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica e, forse, con l’approvazione della nuova legge elettorale. Quindi, tutti hanno interesse a non sollevare altri problemi prima dell’”esame di riparazione” stabilito per la fine di marzo-l’inizio di aprile. In coincidenza quasi con la prima “trimestrale di cassa” che dovrebbe fare luce sui conti pubblici per il 2015.
Negli uffici della Commissione europea, tuttavia, è iniziata quella che un dirigente di nazionalità spagnola chiama la cronaca delle buche annunciate. Esse sono di due natura: un aumento del disavanzo dovuto a un gettito inferiore a quanto stimato nei documenti programmatici del Governo a ragione del perdurare della recessione; l’esito di norme e normette aggiunte all’ultim’ora (ma in alcuni casi presenti sin dalla prima stesura del disegno di stabilità – 554 pagine invece delle 4-6 pagine previste dalla riforma del 1988). Nel primo caso, il responsabile sarebbe “il destino cinico e baro” e si potrebbe invocare l’attenuante delle “circostanze eccezionali”. Nel secondo, si tratta unicamente di non essere riusciti a trattenere la marea del “volere accontentare un po’ tutti”, senza curarsi troppo delle coperture, come avveniva negli anni Ottanta.
Occorre dare atto che nelle notti della messa a punto della legge, il Governo è riuscito a frenare alcune “marchette”, quali la richiesta di aumentare il numero dei dirigenti del ministero dell’Economia e delle Finanze per meglio trattare i fondi strutturali europei (di competenza invece della neonata “Agenzia per la Coesione”) oppure quella di sbloccare l’appalto della strada di Telese, tra Caianello e Benevento, o di riprendere in mano l’idea della ferrovia tra Roma e Pescara, oppure la riforma di enti e uffici studi del ministero dell’Agricoltura, che si sarebbero dovuti eliminare del tutto, o anche nuove assunzioni per il Parco del Gran Paradiso.
Tuttavia, il maxiemendamento del Governo è stato una miniera di misure particolaristiche, approvate con la “fiducia”. Si tratta di misure che non dovrebbero trovare spazio in un provvedimento per sua natura generale come la Legge di stabilità e che si sarebbe dovuto sottoporre a un’attenta analisi dei costi e dei benefici sociali. C’è un po’ di tutto: dai sussidi agli aliscafi nel Ponte sullo Stretto di Messina (30 milioni) ai 15 milioni per lo svincolo Andora-Finale Ligure. Passando per la cosiddetta “semplificazione del regime autorizzativo per il trasferimento e lo stoccaggio di idrocarburi”, a cui viene esteso il regime delle opere strategiche già concesso agli impianti. Questa misura velocizza l’iter dl contestato progetto Eni a Tempa Rossa, in Basilicata. All’Eni – e a colossi come Hera – piace sicuramente anche l’aumento dell’Iva dal 10” al 22% sul “pellet da riscaldamento” – segatura essiccata e compressa che si usa per le stufe – che mette fuori mercato un concorrente del gas.
Nonostante i molteplici appelli alla “pubblica morale”, si strizzano gli occhi ai gestori di giochi tramite un sostanziale condono per i “soggetti che offrono scommesse con vincite in denaro senza essere collegati al totalizzatore nazionale di regolarizzare la propria posizione”. Devono solo, entro il 31 gennaio, presentare all’Agenzia dei monopoli “una dichiarazione di impegno alla regolarizzazione fiscale per emersione” e versare 10.000 euro. Altro regalo agli autotrasportatori: dovevano subire il taglio del 15% del credito d’imposta sul gasolio, ma hanno ottenuto un rinvio addirittura al 2019. Non poteva mancare un dono alle casse esangue dei partiti: la detraibilità dei versamenti effettuati ai partiti politici (la bellezza del 26%) vale anche per le “donazioni”.
Piccola rivoluzione particolaristica per le frequenze TV. Finora l’Agcom aveva il compito di assegnare quelle non utilizzate a livello nazionale alle televisioni locali: ora l’Autorità potrà dare queste frequenze anche a Rai, La7 e Mediaset. Gli armatori ricevono 5 milioni l’anno per i prossimi venti per “progetti innovativi nel campo navale”. Cinque milioni e mezzo sono stati stanziati all’ultim’ora per la tutela e la promozione del “patrimonio culturale e storico”. Come spenderli li deciderà però il ministero delle Infrastrutture dopo avere consultato quello dei Beni culturali. Anche l’Expo Spa ha ottenuto qualcosa: fare gare d’appalto senza passare per Consip e 7,5 milioni di euro per interventi sul Duomo di Milano.
Naturalmente, sono riaffiorati i “terremotati storici”: 30 milioni l’anno fino al 2017 per “i soggetti colpiti dal sisma del 1990 che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa”, 5 milioni per le zone colpite dal terremoto del 2002, quello in cui crollò la scuola di San Giuliano.
Si potrebbe continuare, ma si rischia di assomigliare a un elenco telefonico. Il vero nodo è che una miriade di misure frammentate rendono impossibile sia un’analisi economica del merito di ciascuna di esse, sia una verifica contabile della copertura finanziaria. Il percorso appare coperto da buche, come, per intendersi, quello delle strade di Roma. Ciò lo rende più difficile. E più facile uno sforamento dei vincoli europei.