Il ministro dell’Economia Padoan invoca un’interpretazione ottimistica della politica anticrisi in atto, segnalando i 18 miliardi di tagli fiscali già decisi come prova che il governo riuscirà a stimolare la ripresa tagliando tasse e spesa pubblica. Ma, rispettosamente, gli va fatto notare che il taglio di tasse e spesa non è così chiaro. Infatti, lo stesso governo prevede un calo della pressione fiscale complessiva di solo lo 0,1%, cioè niente, prova che l’azione governativa punti solo a spostare le tasse, riducendole da una parte e alzandole da un’altra.



In ogni caso la stimolazione della crescita, nella situazione attuale di stagnazione/recessione e di aumento della disoccupazione (oltre il 13%), richiederebbe azioni molto più forti, d’emergenza, mentre il governo appare comunicare che non c’è bisogno di iniziative straordinarie. Il Centro studi di Confindustria, molto credibile sul piano metodologico, vede segni di tenuta del sistema industriale e del mercato interno e ipotizza uno scenario di galleggiamento nel 2015 dove l’Italia, nel caso migliore, possa aumentare il Pil attorno allo 0,5%. Altri istituti stanno pubblicando scenari simili, chi rendendo più probabile una crescita positiva, pur minima, chi avvertendo del rischio di ricaduta in recessione.



Il governo interpreta queste analisi come un buon segno: si crescerà poco, ma non affonderemo, bisogna avere una paziente fiducia in un’uscita lenta dalla crisi. Vorrei, invece, segnalare che proprio la tenuta del sistema industriale e del mercato interno mostrano che l’economia italiana riesce ancora a essere vitale dopo tre anni di recessione grave e sei di crisi. Ma anche che senza liberazione dei pesi fiscali non ce la fa a riemergere. Prova ne è che lo scenario migliore è il passaggio dalla recessione alla stagnazione, da interpretare come segnale negativo che impone una correzione di tendenza straordinaria.



Quale? Per esempio: ridurre il carico fiscale sulle attività di impresa a non più del 20% per dare ad aziende, commercianti e artigiani più margini di profitto da reinvestire in espansioni e nuove assunzioni di personale; portare al minimo le tasse sugli immobili per rilanciare tale settore chiave e tagliare di almeno un quinto le tasse sulle famiglie per spingere i consumi.

Tali azioni implicano un taglio della spesa pubblica attorno ai 100 miliardi e uno delle tasse vicino ai 70, lasciando 30 a garanzia dell’equilibrio del bilancio statale. Questa operazione straordinaria darebbe un impulso rapido alla crescita. L’azione ordinaria del governo ora in atto la lascerà in stagnazione e declino.

 

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