Uno sforzo fiscale pari allo 0,5% del Pil, anziché dello 0,1% come previsto precedentemente. È quanto richiesto dall’Eurogruppo al nostro governo, che ora dovrà trovare 6 miliardi di euro di risorse aggiuntive. Un comunicato diffuso ieri assegna i “compiti a casa” per tre Paesi europei. A Italia e Belgio si ordina di ridurre il debito, alla Francia il deficit. Per il professor Francesco Forte, ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie, il comunicato di Bruxelles rende ancora più necessario procedere con le privatizzazioni.
Come valuta la richiesta dell’Eurogruppo al nostro Paese?
La ritengo fondamentalmente sbagliata, perché nell’attuale congiuntura economica la priorità dovrebbe essere quella di fare crescere il Pil e non di tagliare il debito. Gli interventi europei dovrebbero essere finalizzati ad alimentare la crescita, perché ci troviamo in un periodo di recessione caratterizzato da una disoccupazione strutturale. I ragionamenti di Eurogruppo e Commissione Ue, che in astratto sono validi, nell’attuale congiuntura economica non hanno alcun senso. Bruxelles ancora una volta prende le cose dal lato sbagliato. L’Unione europea purtroppo è così, e se a noi piace stare in un’Europa caratterizzata da queste teorie bizzarre dobbiamo accettarne le regole.
Il governo italiano dovrà attuare una manovra aggiuntiva?
Più che modificare le entrate e le spese di parte corrente, il governo dovrà compiere un’operazione di capitali con privatizzazioni che consentano di ridurre il debito anche con misure una tantum. O quantomeno questo è ciò che dovrebbe compiere un governo di ispirazione non dirigista, non propenso all’intreccio di interessi e alla corruzione. Il vero problema politico è la capacità del governo di compiere privatizzazioni per ridurre il debito, nei cui confronti finora c’è stata troppa poca attenzione. La conseguenza è che il rapporto debito/Pil oggi è al 132%, un livello che è molto pericoloso. Sono quindi necessarie delle operazioni di smobilizzazione dei beni pubblici, cosa non facile in un periodo di bassa domanda.
Va data attuazione alla spending review di Cottarelli?
La spending review di Cottarelli era fatta da un uomo di sinistra che non capiva la vera natura dei problemi cui cercare una soluzione. Non si tratta di sapere se un’azienda pubblica renda o non renda, come se lo Stato dovesse gestire tutto. Si tratta di vedere quali aziende vanno restituite al mercato, in aggiunta a quelle che vanno privatizzate perché sono in perdita. Mi riferisco a Ferrovie, Poste, ma anche alle società dell’acqua. Se queste aziende vanno sul mercato si risparmiano dei soldi sotto forma di sovvenzioni di parte corrente o di aumenti di capitale pubblico. Si tratta quindi di mettere sul mercato beni pubblici.
Ferrovie e Poste sono abbastanza efficienti da risultare appetibili per il mercato?
Le Ferrovie sono efficienti, e anziché ricevere dei contributi pubblici per finanziarsi possono compiere aumenti di capitale azionario in grado di offrire un rendimento. Privatizzandole lo Stato risparmierebbe un contributo annuale pari a 2 o 3 miliardi di euro l’anno. Vendendo Poste ai privati, oltre all’introito una tantum, c’è anche da guadagnare in termini di efficienza del servizio. Le aziende locali possono a loro volta andare sul mercato per ridurre il perimetro dell’operatore pubblico e il livello del debito e attuare gli investimenti.
E se le privatizzazioni non dovessero essere attuate?
Se per ragioni ideologiche ci si rifiutasse di privatizzare Poste e Ferrovie, si dovrà ricorrere al taglio delle spese correnti, in particolare di quelle di natura sociale. Difficilmente invece si potranno aumentare ulteriormente le imposte, perché essendo in un periodo di recessione sarebbe una scelta deleteria.
(Pietro Vernizzi)