«La crisi economica e finanziaria è stata una manna di cui hanno beneficiato le banche europee e le grandi corporation finanziarie. Le prime sono state salvate con i soldi dei contribuenti Ue, mentre le seconde ne hanno approfittato per bloccare i salari e aumentare i profitti». È la tesi di Luciano Gallino, sociologo, esperto di mercato del lavoro e autore del libro “Il colpo di Stato di banche e governi”. Una lettura disincantata, ben diversa dall’ottimismo dal governatore della Bce, Mario Draghi, che giorni fa dal Forum di Davos ha parlato di “drastici miglioramenti” nella ripresa dell’Eurozona per i prossimi due anni, sottolineando come “i rischi sono diminuiti sia per il nocciolo duro dei Paesi dell’Eurozona sia per la periferia”.
Professor Gallino, perché ritiene che la causa della crisi siano stati gli errori delle banche e non invece l’elevato debito pubblico?
L’Ue ha mobilitato più di 4mila miliardi per salvare le banche, di cui 52 miliardi versati dallo Stato italiano, e non ha chiesto nulla in cambio. Gli eccessi nella creazione di derivati e di denaro e l’enorme effetto leva sono rimasti tali e quali. Vista la gravità della situazione poteva anche essere necessario in quel momento salvare o aiutare le banche, perché se un grande gruppo finanziario crolla produce problemi per l’intera economia. Però è paradossale e per certi aspetti inaccettabile che le istituzioni europee, le quali hanno mobilitato migliaia di miliardi per salvare gli istituti finanziari, non abbiano chiesto niente in cambio.
Qual è il meccanismo tale per cui la crisi ha arricchito chi era già benestante?
Come dicono i prospetti di alcune banche, sia americane che europee, una delle ragioni dell’arricchimento delle classi più benestanti pari all’1% della popolazione, deriva dal fatto che i profitti delle corporation finanziarie sono strettamente legati ai bassi salari degli ultimi decenni. Negli Usa i salari sono fermi da 30 anni, in Italia da 15 e in Germania da 10. I grandi profitti vanno a chi già possiede patrimoni più o meno cospicui che hanno continuato a crescere, collocandoli tra i più diseguali al mondo quanto a concentrazione verso l’alto di ricchezza.
A mettere in crisi le banche non è stato forse proprio il fatto di possedere quote elevate di debito pubblico?
La crisi finanziaria è maturata gradualmente a partire dal 1980. Intorno ai primi anni del 2000 molti istituti finanziari, sia nel Regno Unito che in Germania, hanno incontrato dei problemi enormi. Numerose banche hanno avuto gravi problemi ancora prima del 2007, altre li hanno incontrati al momento del rallentamento del credito. Hanno quindi iniziato a fallire a partire dal Regno Unito dai primi mesi del 2008. La causa non ha nulla a che vedere con i titoli di Stato posseduti da queste banche.
Che cosa ha causato i fallimenti?
A provocare la crisi sono stati numerosi fattori, tra cui particolarmente importante è l’uso e l’abuso dei certificati di assicurazione del credito, comprati e venduti da singole banche. Queste ultime tra il 2007 e il 2008 hanno poi scoperto di non essere capaci né di riscuotere né di pagare i certificati di assicurazione.
Che cosa si aspetta anche alla luce del’ultimo Forum di Davos?
Non mi aspetto niente di buono, perché sarebbe indispensabile una riforma abbastanza approfondita del sistema finanziario europeo che limitasse la produzione esasperata di derivati e riducesse l’effetto leva delle banche, in quanto il rapporto tra attivi e capitale è tra 30 e 60 volte. In sede del Parlamento Ue e in altri Parlamenti nazionali si stanno discutendo riforme concordate con il sistema finanziario, che è come concordare con una volpe come si protegge il pollaio. Come ha scritto anche l’Economist, l’unione bancaria di cui si parla è una mezza catastrofe perché scarica sui creditori l’onere di eventuali problemi di istituti finanziari grandi e piccoli.
(Pietro Vernizzi)