Che fine sta facendo il programma di privatizzazioni delineato lo scorso novembre dal Governo Letta? Era un programma timido che avrebbe dovuto fare entrare nelle casse dello stato tra i 10 e i 12 miliardi di euro, di cui la metà sarebbe stata destinata a ridurre lo stock di debito pubblico e l’altra metà a ricapitalizzare la Cassa depositi e prestiti. Pochi giorni dopo l’annuncio del Governo, il 12 dicembre 2013, è stato presentato un documento frutto del lavoro congiunto di due centri di analisi, l’Istituto Bruno Leoni e l’Associazione Glocus. Secondo questo documento, unicamente le cessioni di quote in società a partecipazione statale avrebbe potuto rendere tra i 18 e i 55 miliardi, a cui poterne aggiungere almeno altrettanti di cessioni demaniali e immobiliari. I due centri di ricerca delineavano anche una road map per raggiungere tali obiettivi. Di tale road map non è stato fatto nulla.
Il 12 febbraio, il ministro dell’Economia e delle Finanze, Fabrizio Saccomanni, sul punto quasi di lasciare il dicastero, stimava in 8-9 miliardi i ricavi possibili da privatizzazioni nel 2014. Nelle 57 pagine del documento Impegno Italia, presentato sempre il 12 febbraio, alle privatizzazioni è dedicato un cenno fugace (senza quantizzazioni) al par. 31. Ciò vuole dire che nell’arco di meno di due mesi, le privatizzazioni si sono “rimpicciolite”.
Se ne è soprattutto ridotta la sfera di azione. Riprendendo la documentazione diffusa a fine novembre, il programma sarebbe dovuto decollare con la cessione delle partecipazioni di controllo di Sace eGrandi Stazioni (partecipata, a sua volta, al 59,99% dalle Ferrovie dello Stato), seguite da quote non di maggioranza di Enav, Stm, Fincantieri e Cdp Reti. Inoltre, si sarebbe ceduto un pacchetto del 3% di Eni – “ci consente di mobilizzare 2 miliardi senza scendere sotto il 30% e senza dunque perdere il controllo della società”, è stato detto il 21 novembre. In “secondo turno” si sarebbe messo mano a Poste e Fs. La via più probabile da percorrere, in questo caso, sarebbe stata la quotazione in Borsa delle società o soltanto di una parte, che nel caso di Fs sarebbe il Frecciarossa, ovvero l’alta velocità.
Secondo le dichiarazioni del 12 febbraio – Impegno Italia, come si è detto, è muto in materia -, l’attenzione sembra essere solo su Poste ed Enav. La “privatizzazione” verrebbe effettuata non tramite la strada principe della quotazione in Borsa, ma attraverso la cessione di quote ai dipendenti (i cui rappresentanti entrerebbero negli organi di gestione), secondo uno schema tipico del “capitalismo renano” un tempo molto caro a Romano Prodi.
È prematuro anticipare cosa farà il nuovo Governo a guida di Matteo Renzi. Secondo le informazioni che trapelano, la partita sarebbe affidata al deputato Angelo Rughetti, a lungo Segretario Generale dell’Anci e considerato, a torto o a ragione, gran sostenitore del “capitalismo municipale”. Comunque, l’attenzione di Rughetti sarebbe concentrata ora non tanto sulle privatizzazioni, quanto sui rinnovi delle cariche nelle grandi partecipate pubbliche.
In effetti, il tema delle privatizzazioni si sta intrecciando con quello di circa 600 cariche in scadenza in enti e società a partecipazione pubblica. Saccomanni ha dato incarico a due imprese internazionali di “cacciatori di teste” di cercare canditati con le qualifiche appropriate in tutti gli Stati dell’Unione europea. Inoltre, un comitato di tre saggi di alto spicco avrebbe vagliato il lavoro dei “cercatori di teste” ed esaminato in particolare l’onorabilità dei potenziali candidati.
Rughetti avrebbe in mente una strada differente: un’agenzia “indipendente” alla quale affidare il compito di valutare il patrimonio netto delle aziende al 31 dicembre 2013 e confrontarlo con il valore che avevano a inizio mandato, nonché identificare conflitti di interesse passati e presenti. Queste informazioni dovrebbero essere messe a disposizione di una commissione composta da due rappresentanti del governo, due rappresentanti delle commissioni Bilancio di Camera e Senato e tre rappresentanti dei consumatori. Senza entrare nel merito di questa procedura (rispetto a quella già in corso), sembra evidente che comporterà tempi piuttosto lunghi – mentre le 600 cariche sono in scadenza tra aprile e maggio e la normativa sulla “prorogatio” prevede un termine di 45 giorni.
L’accavallarsi della “ondata” di nomine con le privatizzazioni, potrebbe fare sì che le seconde subiscano rinvii. O più esattamente che vengano realizzate unicamente la cessioni di quote (di minoranza) di Poste ed Enav.
È il caso di stappare bottiglie di champagne? Indubbiamente dato che il Governo Monti non è riuscito a privatizzare neanche l’Ente Ufficiali in Congedo. Ma si tratta di vere privatizzazioni se le burocrazie statali (e le correnti politiche) mantengono il controllo? Inoltre, senza unbundling, Poste continua ad assomigliare a un coreano chaebol. Ed Enav è un monopolio tecnico.
Quindi, siamo alle prese con privatizzazioni finte o, al meglio, “desaparecide”. È comunque “desaparecido” il Comitato per le Privatizzazioni, istituto con quel decreto legge “Salva Roma” che ha avuto maligna sorte.